“Mentre si allunga la lista dei Paesi europei che dicono ‘no’ all’energia nucleare, prima la Germania che ha deciso la chiusura degli ultimi tre reattori, ora la Spagna che entro il 2035 spegnerà le cinque centrali ancora operative, annunciando entrambi i paesi che la percentuale di fabbisogno energetico verrà rimpiazzata dalla rinnovabili, l’Italia che fa? E’ l’unico Paese che mette nero su bianco che vuole tornare al nucleare, una fonte energetica in forte declino”. Non usa mezzi Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile nella sua analisi al nuovo Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (PNIEC) il documento che definisce la strategia energetica e climatica del governo Meloni. Inviato alla Commissione europea, è già al centro di critiche. La risposta è infatti in un appello che ha raccolto cento adesioni in poco tempo dal titolo “100% Rinnovabili Network”. Un appello a non ripetere l’errore.
Dopo l’anteprima dei giorni scorsi, ieri c’è stata la presentazione ufficiale dell’iniziativa che riunisce movimenti, associazioni, ma anche rappresentanti del mondo accademico e imprenditoriale e personaggi di spicco della società civile. Tra loro Ermete Realacci, presidente di Symbola; il meteorologo Luca Mercalli; Carlo Petrini fondatore di Slow Food; Jacopo Fo di ReteEcofuturo oltre i leader delle associazioni ambientaliste tra cui Legambiente, WWF, Greenpeace, Kyoto Club, ma anche della Cgil, Cnr Acli, Arci, Libera, Banca Etica, Forum terzo settore. Cento firme che chiedono al governo di rivedere la politica energetica virando sulle rinnovabili, tra cui emerge il mondo accademico italiano. Tra i firmatari ci sono docenti universitari, fisici e ricercatori (da Maria Cristina Facchini, direttrice dell’Isac-Cnr a Marco Frey della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa, da Giuseppe Scarascia Mugnozza dell’università della Tuscia a Roberto Danovaro, docente di biologia dell’università Politecnico delle Marche.
A ottobre gli stati generali
“Sono 36 le istituzioni accademiche e universitarie che hanno aderito e questo per noi è un segnale forte” ha tenuto a sottolineare Ronchi che ha annunciato per settembre la riunione a Roma degli stati generali del network in una grande iniziativa pubblica per discutere di politica energetica “per un’Italia libera dalle fossili e dal nucleare”.
Quale strada intraprendere
Intanto nella sede nazionale del WWF i promotori dell’appello, forti delle cento firme, hanno fatto il punto sul Piano nazionale integrato per l’energia “che non è credibile e praticabile”. Si perché se l’obiettivo a cui anche l’Italia deve arrivare è quello di tagliare del 55% le emissioni che alterano il clima entro il 2030, bisogna capire quale strada intraprendere. E se il governo Meloni da parte sua ha deciso per un rilancio del nucleare, per i firmatari dell’appello non solo sarebbe un danno per l’ambiente, ma nemmeno conveniente dal punto di vista dei costi.
“Dati alla mano, l’unica strada che l’Italia deve seguire per un futuro energetico sostenibile e per contrastare la crisi climatica è quella tracciata dallo sviluppo delle rinnovabili, solare, eolica, idrica, biomassa, geotermica, in grado di produrre fino al 100% di energia a bassi impatti ambientali e a costi economicamente convenienti al contrario del nucleare – ha ribadito Ronchi – una posizione sorprendente perché i dati dell’International Energey Agency mostrano un netto declino dell’impiego dell’energia nucleare e un forte aumento dei suoi costi. Tra il 2010 e il 2022 in Europa c’è stato un calo del 29% dell’energia nucleare, mentre nello stesso periodo le rinnovabili sono cresciute del 66%. Anche perchè il prezzo del chilowattora da rinnovabili è ormai molto più basso di quello del chilowattora da nucleare anche calcolando i costi dell’accumulo”.
“Nemmeno sappiamo dove costruire il deposito nazionale”
E a chi replica che oggi grazie alla tecnologia ci sono nuovi modelli di reattori più piccoli rispondono: “Una proposta che venne già presa in considerazione negli anni Ottanta e che è stata bocciata – ha detto Giuseppe Onufrio di Greenpeace – Per produrre la stessa quantità di energia di un EPR da 1.650 megawatt bisognerebbe costruirne almeno sei, cioè trovare per sei volte il consenso necessario sui territori. Tutto questo in un Paese che non riesce a trovare un luogo dove costruire il deposito nazionale delle scorie nucleari, proprio per la forte opposizione delle comunità locali. Inoltre l’Accademia Nazionale delle Scienze degli Stati Uniti ha recentemente analizzato le diverse tipologie di SMR proposti e ha concluso che con i piccoli reattori la produzione di rifiuti nucleari aumenterebbe in modo consistente. Esistono un’ottantina di progetti diversi allo studio, ma i prototipi funzionanti di SMR sono pochissimi: uno in Russia, un altro in Cina. Entrambi hanno avuto costi tra il triplo e il quadruplo del previsto. Un terzo in costruzione in Argentina. Quanto è costato? Otto volte più del previsto”.