Il faro che guida il cammino per il ripristino della natura è pronto, ma non tutti vogliono accendere la luce. In Europa l’80% degli habitat è in declino e oltre il 60% dei suoli è malsano: in un contesto dove gli effetti della crisi climatica sono sempre più evidenti è indiscutibile che sia necessario uno sforzo rivoluzionario per tentare di ripristinare la natura che sta collassando.
Da questa base è nata, all’interno del Green Deal, la proposta europea della Nature Restoration Law: una legge, con obiettivi vincolanti per gli stati membri, che punta a ripristinare il 20% delle aree terrestri e marine in modo da fermare la perdita di biodiversità.
La legge però è ora a un bivio: l’11 luglio gli europarlamentari si riuniranno per discuterla e valutare ulteriori emendamenti e il 12 luglio si andrà al voto in un contesto che vede da una parte diverse realtà politiche favorevoli a quella che è un testo fortemente promosso dal vicepresidente della Commissione Ue Frans Timmermans, da centinaia di associazioni ambientaliste e migliaia di scienziati che hanno firmato manifesti e lettere appello, e dall’altra contrastata dalle destre europee, con il PPE capofila di una azione mirata a bocciare la legge per difendere categorie come agricoltori e pescatori che temono di avere pesanti ricadute.
Nature Restoration Law europea, di cosa si tratta
Il punto di partenza della legge è l’idea di ripristinare gli ecosistemi danneggiati, dai mari alle zone umide, dai fiumi alle foreste, prima che sia troppo tardi. Un obiettivo che mira a garantire sicurezza alimentare, resilienza climatica e salute e benessere per popolazione, fauna e flora.
Lo scopo è proteggere almeno il 20% delle aree terrestri e marine dell’UE entro il 2030 con misure di ripristino della natura e successivamente estendere la legge a tutti gli ecosistemi che necessitano di ripristino entro il 2050.
Questo comporta, oltre all’idea della riduzione di pesticidi chimici del 50% entro il 2030, l’aumento delle aree protette, sforzi per salvare gli impollinatori, garantire nessuna perdita di spazi verdi urbani entro il 2030 e programmare un aumento del 5% entro il 2050. Ma anche “un minimo del 10% di copertura arborea in ogni città”, la riumidificazione delle torbiere prosciugate e che ci aiutano nell’assorbire carbonio, azioni per l’aumento della biodiversità nei terreni agricoli, il ripristino degli habitat nei fondali marini, la rimozione delle barriere fluviali per liberare 25mila chilometri di fiumi e tanto altro.
Tutto ciò implica che gli Stati membri sviluppino piani nazionali di ripristino con una precisa rendicontazione di quanto fatto. L’Ue da parte sua mette sul piatto circa 100 miliardi di euro in parte destinati al ripristino della natura e stima che gli investimenti per il recupero dell’ambiente, per ogni euro speso, porteranno fra gli 8 e i 38 euro in benefici.
L’iter della legge
Il cammino per arrivare alla votazione di luglio è stato lunghissimo: prima le direttive Habitat, poi nel maggio 2020 la pubblicazione della strategia dell’UE sulla biodiversità per il 2030 e infine dopo una lunga serie di consultazioni e confronti, il primo passaggio concreto per arrivare verso la legge è avvenuto il giugno scorso quando è stata messa in discussione la proposta per la Restoration Law nelle aule della Commissione Ambiente.
Lì 88 eurodeputati, rispetto a un emendamento presentato dal PPE (Partito popolare europeo in maggioranza in Parlamento) che voleva bocciare la legge per rivedere il tutto, si sono completamente spaccati: 44 voti a favore e 44 contro. Il pareggio ha mostrato la fragilità del sostegno alla Restoration, ma è bastato per far continuare l’iter che porterà alla discussione finale dall’11 luglio in poi (voto previsto il 12). Se non ci sarà la maggioranza, la Restoration Law rischia seriamente di essere affossata e come ha detto lo stesso Timmermans “in tal caso non la ripresenteremo”.
Pro e contro
Negli ultimi incontri ventuno degli Stati membri si sono espressi a favore della legge. Altri però, tra cui l’Italia (insieme a Polonia, Belgio, Paesi Bassi, Austria, Finlandia e Svezia) hanno votato contro.
La spaccatura è legata per lo più alla paura che la legge, vincolante, possa incidere sulla “sicurezza alimentare” e sul comparto “della agricoltura, la silvicoltura e la pesca” fanno sapere i Paesi che si oppongono tra i quali appunto l’Italia fortemente basata sull’agricoltura e gli stati del Nord legati a industria del legno e pesca.
Fin da subito, con una lettera e una petizione che ha raccolto oltre un milione di firme fra i cittadini del Vecchio continente, quasi 4000 scienziati europei hanno sposato la causa della Nature Restoration Law definendola “la più grande occasione per rigenerare la natura d’Europa e garantire sostenibilità, futuro e benessere ai suoi cittadini”. Causa sostenuta anche dall’IUCN (Unione internazionale per la conservazione della natura), oggi profondamente preoccupata per gli ultimi sviluppi che mettono a rischio il passaggio della legge.
Di recente, firmato da tutte le principali università italiane e da circa 150 associazioni, in Italia è nato anche un Manifesto a favore della legge. Tutte le associazioni ambientaliste ed ecologiste italiane, al contrario delle posizioni espresse dall’esecutivo del nostro Paese, si stanno battendo strenuamente affinché la legge sia approvata.
Dalla Lipu ricordano ad esempio che si tratta di una occasione storica “per cambiare passo sulle politiche di conservazione della natura e sulla sostenibilità in generale” mentre dal Wwf, che sta portando avanti più campagne a sostegno dell’iniziativa, rispondono a chi si oppone al ripristino della natura nelle aree agricole “che non possiamo permetterci di rendere non produttivi i terreni agricoli, mettendo a rischio la sicurezza alimentare, ignorando però che queste aree naturali producono in realtà servizi ecosistemici fondamentali per l’agricoltura, come l’impollinazione, la fertilità e la ritenzione agricola dei suoli, la lotta biologica ai parassiti, la depurazione delle acque“.
Chi si oppone sono invece i principali partiti di destra in Europa e anche associazioni di categoria spaventate da come la legge potrebbe impattare per esempio sul futuro degli agricoltori e tra queste si contano Coldiretti, Confragricoltura, Copa Cogeca e altre.
Il pensiero generale di chi vorrebbe affossare l’attuale proposta è ben riassunto nelle parole diffuse da Coldiretti Toscana: “La tutela dell’ambiente e perdita di biodiversità si combatte non con posizioni ideologiche, togliendo terreni produttivi dalla disponibilità degli agricoltori, o vietando interventi su decine di migliaia di km di percorsi fluviali, ma piuttosto favorendo lo sviluppo della multifunzionalità, della vendita diretta ed opponendosi all’omologazione ed alla standardizzazione delle produzioni. Ripristinare gli ecosistemi in cattive condizioni è un obiettivo che può certamente accomunare tutti i portatori di interesse ma la Commissione Europea dovrebbe fare autocritica ed ascoltare i diversi dubbi posti da molti eurodeputati e diversi Paesi europei su una proposta e su un approccio generale ai temi della sostenibilità che penalizzerebbe il settore agricolo, comportando una importante riduzione del potenziale produttivo”.
La campagna contraria alla legge è portata avanti soprattutto dal PPE. Come ha spiegato il capo del partito, Manfred Weber, a loro dire la legge rischierebbe di far aumentare i prezzi dei prodotti alimentari e minaccerebbe i mezzi di sostentamento degli agricoltori.
Eppure, con una chiarissima lettera indirizzata all’Ue circa 90 tra le più grandi aziende europee che rappresentano i settori di consumo, della finanza e della distribuzione di prodotti alimentari, contestano questa visione e appoggiano “l’urgente adozione di una legge europea sul ripristino della natura che sia ambiziosa e vincolante” scrivono marchi che vanno da Nestlé a Unilever passando per Danone, Ikea e tanti altri.
Uno dei punti più contestati dagli oppositori è un passaggio che stabilisce come vada ripristinato almeno il 10% della superficie agricola totale. Questo secondo i detrattori porterebbe a “perdite di spazio e produttività”. Accuse a cui gli ambientalisti rispondono chiaramente che invece “una gestione più ambientalmente sostenibile – ad esempio – dell’agricoltura, è l’unica strada per avere una produzione redditizia e capace di assicurare profitti duraturi alle aziende”.
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Gli ecosistemi italiani a rischio
La legge, sostengono i favorevoli, è uno strumento unico per poter proteggere anche i territori italiani che più di altri, nel cuore di un Mediterraneo sempre più caldo e impattato dalla crisi del clima, hanno bisogno di conservare la loro straordinaria biodiversità unica per specie in Europa.
Attualmente il 68% degli ecosistemi italiani è a rischio e in 15 anni sono stati consumati circa 1200 chilometri quadrati di suolo a causa dell’espansione urbana, una media di 77 chilometri quadrati l’anno. In generale, l’89% degli habitat italiani versa oggi in “un cattivo stato di conservazione”. Inoltre, ricorda il Wwf, “la totalità dei mari è considerata area problematica e la biodiversità è minacciata dalla modificazione degli habitat naturali e seminaturali, dovuta alle attività umane come agricoltura, turismo e sviluppo residenziale”.
Gli impatti della recente alluvione in Emilia Romagna ci ricordano oltretutto la necessità di ripristinare “il regolare scorrimento dei fiumi attraverso l’eliminazione delle infrastrutture obsolete e la ricostituzione degli alvei originali in modo da rendere il territorio più sicuro in caso di alluvioni ed eventi estremi”.
Anche per questo le associazioni ambientaliste, in vista del 12 luglio, lanciano un ulteriore appello ai cittadini affinché si facciano sentire nei confronti degli europarlamentari: si va dalla Lipu che ha stilato una lista di politici da contattare fino al Wwf che ricorda come “dobbiamo pretendere dai nostri europarlamentari un forte segnale di attenzione e consenso su questa legge, perché dalla sua approvazione dipendono il nostro futuro e la nostra sicurezza climatica e alimentare”.