Sharm el Sheik – Dopo due settimane di trattative, potrebbero volerci 48 ore di tempi supplementari per trasformare la Cop27 da completo fallimento a mezzo successo. Mentre scriviamo, è iniziata la seconda notte di extra time per le delegazioni dei 197 Paesi presenti a questa 27esima Conferenza Onu sul clima. E la plenaria conclusiva, programmata in un primo momento per le 21 di sabato, slitta di ora in ora. E potrebbe persino essere rimandata alla mattina di domenica, segno che sono ancora molti i dossier sui quali non si è trovato un accordo.
Ma almeno un risultato è stato ottenuto: il via libera a un fondo per il Loss and damage, i soldi a cui attingere per rimediare ai danni e alle perdite causate dal clima nei Paesi in via di sviluppo e più vulnerabili agli eventi meteorologici estremi. Un traguardo tagliato dopo trent’anni di discussioni. I Paesi ricchi, sui quali ricade l’onere di alimentare il fondo perché responsabili “storici” delle emissioni che hanno alterato il clima, si erano sempre opposti. Ma la presidenza egiziana di Cop27 ha fortemente voluto che il tema fosse al primo punto dell’agenda della Conferenza di Sharm el Sheikh. Il G77+Cina (gruppo che raccoglie 134 Paesi in via di sviluppo) è stato compatto ai tavoli delle trattative, nonostante il tentativo del capo delegazione Ue Frans Timmermans di offrire solo ai “più vulnerabili” un meccanismo di aiuti economici, con la giustificazione che il fondo non può essere pensato per intervenire agli oltre 100 Paesi in via di sviluppo, non ci sarebbero risorse sufficienti.
La crepa, nel muro contro muro tra Nord e Sud del mondo, si è aperta quando la presidenza di Cop27 ha presentato un nuovo testo che recepiva parzialmente le richieste dei Paesi sviluppati. “È stata ottenuta la menzione dei ‘più vulnerabili’ ed è in qualche modo abbozzata la questione dell’allargamento della base dei donatori”, aveva spiegato l’Inviato speciale italiano per il clima Alessandro Modiano. Altro punto cruciale, quello dei donatori: Usa, Europa, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Giappone non vogliono essere i soli a metterci i soldi e chiedono che lo facciano pure altre potenze economiche, a cominciare dalla Cina. A decidere quali saranno i Paesi vulnerabili che potranno utilizzare il fondo per il Loss and damage e quali le nazioni che dovranno contribuirvi sarà comunque un comitato istituito qui a Cop27 e che dovrà riferire alla Cop28 di Dubai l’anno prossimo.
Accolte, seppur blandamente, le condizioni poste dall’Occidente, si sono create le condizioni per l’accordo. E a quel punto la conclusione positiva di Cop27 è sembrata a portata di mano. L’ultima notte doveva servire per sciogliere i tanti nodi rimasti. A cominciare dalla mitigazione, quelle misure che riducono le emissioni di gas serra e quindi frenano il riscaldamento globale. Il fronte di chi ha “ceduto” sul Loss and damage ha chiesto in cambio un impegno stringente, nel testo finale, perché si “mantenga vivo” l’obiettivo di 1,5 gradi di riscaldamento in più rispetto all’era preindustriale. E che si menzioni esplicitamente la graduale riduzione di tutte le fonti fossili, passaggio quest’ultimo osteggiato da molti vicini “petrolieri” dei padroni di casa egiziani, a cominciare dall’Arabia Saudita.
Un braccio di ferro durissimo, che giustificherebbe i continui rinvii notturni della plenaria decisiva. E che secondo alcuni analisti, se potratto troppo a lungo potrebbe persino rimettere in discussione lo storico accordo sul Loss and damage. “Questa Cop ha segnato comunque un cambiamento di paradigma, che va oltre la questione climatica”, dice Jacopo Bencini, analista di Italian Climate Network. “Eravamo abituati a un mondo dove a decidere e indirizzare erano le cinque Nazioni che siedono nel consiglio di sicurezza dell’Onu. Qui a Sharm, complice il conflitto russo-ucraino che ha rotto gli schemi, i Paesi del Sud del mondo hanno cominciato a far contare i loro numeri”.