SHARM EL-SHEIKH – A un certo punto, mentre proviamo a intervistarla, Alab Ayroso si blocca per un istante: ci pensa su, poi dice “ok, credo di poter raccontare, di essere autorizzata”. In fondo, spiega, alla Cop27 è venuta per condividere la sua esperienza con più speranza che paura. Questa giovane attivista filippina, che si batte per la giustizia climatica e i diritti civili nel suo Paese – un territorio estremamente simbolico se si pensa sia al passato di repressione e dittatura sia a quanto è oggi impattato dalla crisi climatica tra alluvioni e cicloni – pochi minuti prima stava piangendo. Ha partecipato insieme ad altre donne a una manifestazione all’interno della Cop per ribadire che “non c’è giustizia climatica senza diritti umani”.
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Le sue lacrime, mentre stava spiegando perché è qui, riguardano un fatto di vent’anni fa. Nel 2002 suo padre, Honorio Ayroso, fu probabilmente rapito dai militari a San Jose City, a Nueva Ecija, scomparendo nel nulla. Era un attivista ambientale e sociale, che si batteva per i diritti dei filippini, dei coltivatori (si occupava di cipolle) e dell’ambiente. Diversi anni prima, durante l’operato del presidente e dittatore Ferdinand Marcos, che tra il 1965 e il 1986 trasformò le Filippine in un regime fortemente autoritario, il padre fu torturato prima di essere rilasciato. Quando è nuovamente scomparso sono scattate le indagini, ma non si è mai saputo con certezza che fine abbia fatto. Nel frattempo, nel giugno 2022, nonostante una lunga serie di critiche e timori, nelle Filippine è stato eletto come presidente il figlio di Marcos: Ferdinand Marcos Jr.
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“Mio padre è stato vittima di un rapimento. Era un attivista. Vent’anni dopo io sono qui, anche in suo nome. C’è stata un’indagine ma non abbiamo mai avuto risposte, sappiamo solo che è sparito a causa del suo impegno, anche per difendere la terra delle Filippine. Le violazioni dei diritti umani nel mio Paese, fra i più colpiti anche dall’emergenza climatica, sono continuate per molti anni. Ora che il figlio di Marcos è al potere abbiamo paura che questo possa continuare e succedere di nuovo a molti altri attivisti, anche quelli che come me si battono per salvare il Pianeta” racconta Ayroso a Green&Blue. “E’ per questo che sono qui – aggiunge – per condividere la mia storia e per ricordare l’importanza di battersi per il bene della Terra”.
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Le Filippine, dice un rapporto dell’OCHA (ufficio affari umanitari dell’Onu) sono uno dei Paesi al mondo più soggetti ai disastri climatici. Viene attraversato da una media di 20 tifoni l’anno, da alluvioni e inondazioni causando – come accaduto per il tifone Odette – miliardi di dollari di danni e quasi 700 mila persone sfollate, con un impatto sulle vite di 13 milioni di persone.
La crisi del clima lì è qualcosa che si tocca con mano ogni giorno: sono influenzate l’agricoltura (come quella che conduceva il padre di Alab), la pesca (per cui si battono nuove cooperative di attivisti ambientali e pescatori) e la perdita di biodiversità accelera dai coralli del reef sino alle foreste. Senza freni al riscaldamento globale, in questo Paese responsabile per meno dell’1% delle emissioni climalteranti ma dove si sta investendo di recente nel fossile, non c’è futuro. Combustibili fossili per cui Ayroso e altri giovani attivisti del clima chiedono l’immediato stop alle estrazioni. Così come il riconoscimento dei diritti umani e la protezione, anziché il carcere, per chi si batte in nome “di un Pianeta più sicuro”.
“Io, personalmente – dice l’ambientalista filippina – per il futuro ho più speranza che paura. Sento vicine a me tante persone, giovani che si supportano a vicenda e che lottano tutte nella direzione di un domani più giusto. E allora continuerò a lottare, anche per mio padre”.