Nel parcheggio del centro commerciale Campania di Marcianise, tra Napoli e Caserta, è nato dieci anni fa un grande orto didattico che è un esempio virtuoso di economia circolare, perché alimentato con il compost prodotto dai rifiuti organici dei 25 bar e ristoranti del centro. Oggi a prendersi cura di questo spazio di 650 metri quadrati (progettato da laureandi in architettura e agronomia dell’Università Federico II di Napoli, insieme ai designer dell’Università Luigi Vanvitelli di Aversa e agli studenti di pedagogia dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli) sono volontari, educatori e le migliaia di persone che lo visitano ogni anno. L’orto del Centro Campania è un laboratorio didattico permanente, che non insegna solo – con l’esempio – la gestione corretta dei rifiuti, ma permette di divulgare – sul campo, tra pomodori San Marzano, zucche, peperoni, carciofi violetti e tanti altri tesori nostrani – nozioni di scienza ed economia come la fotosintesi, la pacciamatura, i cicli dell’acqua e del carbonio, la filiera agroalimentare.
Per raccontare i dieci anni dell’Orto e tutta la sua importanza odierna, lo scrittore e agronomo Antonio Pascale (oggi nella cinquina del premio Campiello con “La foglia di fico. Storie di alberi, donne, uomini“) ha appena pubblicato per Giunti “Un orto al Centro. Educare alla sostenibilità” (pp. 160, euro 19). È un saggio scritto con il cuore, perché denso di ricordi, riflessioni e provocazioni intellettuali sul valore che nella società diamo non solo alla natura che abbiamo intorno a noi, ma anche all’idea stessa di natura e di sostenibilità. Ovvero alla natura che è in noi, e che però per affiorare ha bisogno di interazioni sociali, come quelle stimolate dall’orto: anche nel cuore di un colosso di cemento come il Centro Campania può fiorire una speranza verde di cambiamento “orizzontale”, ossia partecipato e condiviso.
Se lei dovesse spiegare cos’è l’orto del centro commerciale Campania di Marcianise (e perché è importante) a chi non ne sa assolutamente nulla, cosa direbbe?
“Direi la verità. L’orto è una propaggine del Centro Commerciale e dunque un modo per godere di stimoli altrettanto utili e piacevoli di quelli che generalmente si provano nei contri Commerciali: colori prima di tutto, poi sapori e profumi intensi, oltre al piacere di fare amicizia o due chiacchiere davanti a un rosmarino cascante, nonché un piacere imperdibile, cioè ripararsi dal calore grazie alle fronde delle piante rampicanti. Poi è tutto gratis, una giostra di sensazioni tattile, olfattive, visive che non costano niente e alle quale non siamo più abituati: meglio di così.”
Come è riuscito il progetto dell’Orto a conciliare cemento e piante?
“Questo mondo che abitiamo è fondato- dice Vaclav Smil – su quattro pilastri; acciaio, ammoniaca, plastica e cemento. Anche se non sono pilastri suggestivi e poetici, almeno per quelli che amano altro genere di poesia, sono tuttavia fondativi, cioè rendono il mondo moderno quello che è: con i benefici che godiamo, il reddito che incassiamo, la poesia che riusciamo a scrivere e i costi che subiamo. Questi 4 pilastri sono purtroppo prodotti quasi completamente utilizzando ancora energia fossile. Ora, gran parte di noi ignora l’esistenza dei 4 pilastri, insomma non sa come funziona il mondo: ignorando la fisiologia, pur animati da buoni intenzioni, troviamo spesso soluzioni un po’ patologiche, inefficaci. Il cemento, nel caso dell’orto, viene utilizzato per costruire belle e capienti vasche per interrare piante. Fa “pendant”. Sembra quasi un connubio perfetto. In più abitua tutti noi a vedere il cemento sotto un’altra luce. Si spera che, in futuro, questa visione solleciterà qualcuno di noi a scoprire altri modi di produrre energia. Siccome è un processo lungo, vedo sempre con piacere quello che può essere considerato almeno un buon inizio: passeggiare nell’orto di da proprio questa sensazione. E chi ben comincia…”.
Per farci capire l’impatto dell’urbanizzazione e la necessità di un pensiero sostenibile, lei nel libro usa un’immagine molto bella ed efficace: le macchie di luce di Caserta e Napoli viste dal belvedere di Caserta…
“Dal belvedere di Caserta Vecchia, negli anni ’70 vedevo le luci che disegnavano una città più semplice, poche luci, poi il buio e di nuovo le luci, sotto il Vesuvio. Poi un giorno, tornando sul belvedere con mio figlio piccolo, mi sono accorto che non c’era più il buio, c’erano tutte luci. S’era creata una città densa, un insieme così pieno che non potevi aggiungere nient’altro. Una caratteristica di molte città italiane, che producono propaggini, effetto del boom – a Caserta arrivato con un po’ di ritardo – e della crescita demografica delle città. È chiaro, ovviamente, che c’è poco da meravigliarsi, tra quelle nuove luci c’era pure casa mia, segnavano un processo di emancipazione, dalla campagna, dalla povertà contadina alla media borghesia e ai bagni piastrellati. Lo sottolineo perché siamo portati a vedere e contestare le mutazioni antropologiche degli altri e a tacere della nostra.”
Quanto è importante l’aspetto pedagogico dell’Orto? E in che modo l’Orto educa (soprattutto i bambini, ma non solo) alla sostenibilità?
“Moltissimo. Cioè mi piace pensare che trovare un’isola, un luogo dove confluiscano diverse esperienze e dove tu stesso puoi partecipare, tutto questo ci abitui all’idea di costruzione dal basso. Che probabilmente potrebbe essere uno dei vantaggi della modernità, così caratterizzata dalla facilità con cui diciamo “io”. Ebbene, costruire dal basso significa mettere alla prova i tanti “io”. Riusciremo a formare una squadra basandoci su esperienze condivise e migliorare la nostra comunità?”
Proporre (grazie all’Orto e alle associazioni che se ne occupano) un discorso di slow food all’interno di una struttura della grande distribuzione può sembrare – ed è sembrato, anche ai promotori – eretico. In che modo l’Orto ha vinto questa sfida?
“Slow Food ha vinto, almeno nella pubblicistica. Tuttavia non è un mistero che il 70% delle cose che Slow Food propone non mi trovano d’accordo (e lo dichiaro nel libro), pensa alle semplificazioni sul biologico o all’antipatia per le biotecnologie, (un efficace strumento per abbassare la dose di chimica). Diciamo che ci siamo accordati sul restante 30%, che non è poco. Perché se si tratta di far capire che, prima del cibo e del mangiare bene, ci sono le piante che devono essere coltivate o protette, e che le piante sono organismi viventi che mettono in comunicazione terra e cielo – grazie alla fotosintesi producono amido e ossigeno e acqua che serve per la vita – e insomma che le piante non sono orpelli ma la chiave di volta di tutto, allora io metto subito la firma sul progetto. Un orto è uno strumento efficace per costringerci a prestare attenzione a cose essenziali che non consideriamo, quindi sì, in questo caso l’orto è un progetto eretico.”
Un concetto che lei sottolinea nel libro è che l’orto è uno strumento per “lavorare in orizzontale”: cosa intende?
“Un modo per affrontare i conflitti che arrivano da ogni direzione e che possono trovare nel lavoro dell’orto una buona sintesi.”