Gli esperimenti hanno dimostrato di funzionare, abbattendo del 90% le emissioni di CO2 nell’ambiente, ma per un impiego su vasta scala occorre che scendano i costi, cosa possibile con un impiego massiccio. Stiamo parlando del sustainable aviation fuel (Saf), carburante prodotto dagli scarti, che può andare ad alimentare gli aerei in sostituzione dei tradizionali idrocarburi.
“L’aviazione è uno dei settori chiave da decarbonizzare in quanto è molto improbabile la transizione all’alimentazione elettrica”, racconta Ruggero Poli, ingegnere di Aeroporti di Roma e presidente di Adr Energia. Da qui la scelta della società di gestione dello scalo di Fiumicino di sottoscrivere un accordo con Eni, che è tra i pochissimi produttori europei di questo carburante biogenico, che abbatte le emissioni dal 60 al 90%. “Nel nostro caso siamo al massimo della riduzione di inquinante grazie al ricorso a oli vegetali usati e di frittura, che vengono raccolti in tutta Italia e trasferiti a una bioraffineria Eni, che li trasforma in biocarburante”, continua Poli. La società del “Cane a sei zampe” è stata la prima al mondo a trasformare due impianti tradizionali in bioraffinerie, uno a Porto Marghera Venezia e l’altro a Gela.
Trovato l’uovo di Colombo? Non proprio perché, come spesso capita, per le innovazioni tecnologiche si procede per step. Oggi il Saf ha un costo sensibilmente superiore ai carburanti tradizionali, cosa che non lo rende competitivo, ma ci sono due fattori che giocano a suo favore: da una parte i costi crescenti delle quote di carbonio, che le società devono acquistare per compensare le emissioni di CO2; dall’altra la prospettiva di evoluzione tecnologica e di dimensioni di scala, che consentirà di produrre Saf con un costo unitario inferiore. Nel giro di cinque-dieci anni quella che oggi è una bella sperimentazione dovrebbe diventare la norma.