Opporsi alla transizione ecologica comporterebbe conseguenze che nel gergo giuridico si riassumerebbero con la formula “danno emergente e lucro cessante”. Ovvero perdite e mancati guadagni, da intendersi in termini sia economici sia umani. Questa è l’idea, chiara e pragmatica, espressa dagli italiani a proposito del percorso che dovrà condurci verso un’autentica sostenibilità. Lo rivela l’indagine intitolata “Percezione, costi e benefici della transizione ecologica”, realizzata da Ipsos per conto di Fondazione per lo Sviluppo sostenibile e Italian Exhibition Group-Ecomondo.

L’85% dei nostri concittadini è convinto che pagheremmo a caro prezzo l’eventuale inerzia di fronte alla crisi ambientale ormai estesa all’intero pianeta: l’impatto delle calamità naturali collegate al riscaldamento globale – che stiamo subendo da tempo – diventerà sempre più gravoso. Per il 79%, invece, il semplice fatto di ritardare la transizione ecologica provocherebbe già effetti devastanti; ci troveremmo, infatti, ad affrontare cambiamenti climatici ed eventi meteorologici via via più estremi e frequenti con risorse insufficienti, da distribuire a una popolazione mondiale in crescita.

Ecco perché bisogna trasformare stile di vita, consumi, sistemi di produzione, garantendo a tutti gli strumenti per proteggersi da siccità, alluvioni e disastri che minano la sicurezza personale, l’approvvigionamento di cibo, l’accesso all’acqua pulita. La transizione ecologica, però, non svolge soltanto una funzione di difesa: l’86% degli italiani intervistati per il sondaggio crede che sia pure un’opportunità, una strategia per ridurre i rischi e promuovere al contempo investimenti, innovazione, occupazione. Cioè un capitolo importante del Piano nazionale di Ripresa e Resilienza che dovrebbe risollevare il Paese.

 

Se si entra nello specifico delle misure da attuare, emerge che quelle ritenute indispensabili sono fermare il consumo di suolo (per il 55%), limitare lo spreco d’acqua (per il 54%), diminuire l’inquinamento di fiumi e mari (52%), tagliare le emissioni di gas serra (50%), potenziare il riciclo dei rifiuti (50%). Meno considerata è la necessità di disincentivare l’uso dell’automobile a favore del trasporto pubblico (38%). Per quanto riguarda la “green economy”, poi, il 65% pensa che sia un modello di sviluppo mirato a migliorare il benessere e l’equità sociale; una questione che interessa le imprese per il 67%, la quotidianità collettiva per il 55% e lo Stato per il 32%.

“Dopo la pandemia – commenta Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo Sviluppo sostenibile – s’è riscontrata una maggiore consapevolezza negli italiani a proposito di ambiente ed emergenza climatica. Mentre a livello politico si manifestano ancora troppe riserve sulla transizione ecologica: c’è chi la definisce eccessivamente costosa o non prioritaria. Ma l’opinione pubblica la giudica conveniente e la chiede con forza”.

 

E la conferma arriva dall’indagine, condotta su un campione di connazionali dai 18 ai 75 anni divisi in quote in base a genere, area geografica, dimensione del Comune di residenza, lavoro e grado d’istruzione. Ebbene, per il 75% di loro la svolta è irrinunciabile e urgente; il 18% risolverebbe altri problemi prima di dedicarsi alla sostenibilità e solo il 6% bolla l’attenzione verso tale tema come una moda passeggera alimentata dai mezzi d’informazione.