Airbnb ha sul suo portale circa 700 offerte di dimore o stanze che si trovano nel Tibet e nello Xinjiang, le regioni dove la Cina è accusata di diffusa violazione dei diritti dell’uomo nonché di assimilazione culturale forzata. La denuncia arriva dall’organizzazione Free Tibet che l’ha raccontata all’agenzia di stampa francese Afp durante le Olimpiadi invernali di Pechino, di cui il colosso della vacanza online è sponsor, come di tutti i Giochi che si svolgeranno fino al 2028 per un ammontare complessivo dell’ordine dei 400 milioni di euro.
Secondo la non profit che difende i diritti delle popolazioni dell’estremo Ovest cinese, la persistente crescita di Airbnb in Cina è in parte guidata da quelle location che propone nelle due regioni, 300 delle quali si collocano nel Tibet, e circa 380 nello Xinjiang dove Pechino è accusata di una vera e propria pulizia etnica ai danni delle minoranze etniche e culturali, in particolare nei confronti degli Uiguri di religione musulmana.
La compagnia di San Francisco, che come noto collega un “host” proprietario di una dimora da affittare ai potenziali utenti, e per questo percepisce dei “costi di servizio” è un colosso quotato al Nasdaq che, nel recente passato, si è mostrato sensibile a movimenti di sensibilizzazione in favore dei diritti umani, a cominciare dal “Black Lives Matters”. In una nota sulla questione cinese, ha spiegato di operare “dove il governo Usa ci permette di farlo” e di avere un “processo rigoroso” mirato ad assicurare “che stiamo seguendo la normativa corretta”. Ha poi spiegato ad AFP di avere una “partnership di lungo periodo” che copre diverse edizioni dei Giochi e di aver parlato al Comitato olimpico internazionale in materia di “importanza dei diritti umani”. Ha poi spiegato che è pur vero che la Cina “è un importante parte del nostro fine di connettere tra loro le persone di ogni parte del globo”, ma che questo impegno vale solo l’uno per cento dei profitti della compagnia, negli anni recenti.
La Cina, dal canto suo, ha promosso lo Xinjiang come una vivace destinazione turistica, con particolare attenzione al turismo dello sport invernale in tempi recenti. Ma la regione è allo stesso tempo nella morsa di quella campagna “antiterrorismo” che ha letteralmente deportato un gran numero di uiguri e in generale di musulmani nei cosiddetti campi di “rieducazione”. Pechino è inoltre accusata di perpetrare la sterilizzazione forzata delle donne uigure, di imporre lavori forzati e distruggere siti culturali, in quello che in molti Paesi dell’Occidente è classificato come genocidio.
Da parte sua, la Cina, dopo aver negato l’esistenza dei campi, ha fatto parzialmente marcia indietro, sostenendo però che si tratta di campi nati con l’intento di sradicare l’estremismo locale, dove la popolazione entra su base volontaria.Sul sito cinese di Airbnb, gli host dello Xinjiang sbandierano camere in “stile etnico” per ambientazioni “misteriose e romantiche”. “Un numero crescente di turisti” sta raggiungendo la “bella” regione, ha raccontato ad Afp una delle host, con base a Kashgar, storica tappa della Via della Seta. Yu – questo il nickname della signora – ha detto di essere una cinese Han – l’etnia maggioritaria in tutto il Paese, aggiungendo che “non c’è alcun pericolo di sicurezza”.
Un altro host con base a Kashgar ha liquidato la questione delle discriminazione etnica come misticazione delle questioni cinesi, tipica dell’Occidente. Ex residenti dell’area però parlano di restrizioni culturali di lunga daa, culminati nella distruzione di molti edifici storici, i quali in molti casi sono diventati la base di strutture orientate al turismo. Un nativo dell’area che oggi vive negli States ha raccontato ad Afp che i turisti sono arrivati in massa a Kashgar solo dopo le ondate di arresti chre, dal 2017, hanno “ripulito” la città dei suoi abitanti uiguri. Suo fratello, a quanto ha riferito, è uno dei detenuti nei campi di rieducazione, e non ne ha notizia da anni.
Gli esperti di politica globale non sono di diverso avviso. Secondo Darren Byler, che insegna studi internazionali alla Simon Fraser University di Burnaby (area Vancouver), Canada racconta che gli uiguri rimasti nell’area sono forzati a offrire delle rappresentazioni “teatrali” di loro stessi in performance approvate dal governo centrale relative a ballo, musica o gastronomia. Il tutto in un contesto strettamente controllato dove i turisti possono persino non accorgersi di trovarsi “in una sorta di città fantasma, dove le persone che davvero vivevano e circolavano su quelle strade sono di fatto svanite”.
Complice anche il vantaggio di poter offrire condizioni di privacy e distanziamento dagli altri, Airbnb è stata una delle prime compagnie di beneficiare dei primi rimbalzi del mercato del turismo mondiale, dopo il picco negativo da Covid del 2020. Nel 2021 ha saputo fatturare il 25 per cento in più rispetto al 2019. Ad oggi opera in 220 tra Paesi e regioni autonome. La sua popolarità in Cina – dove il suo nome è tradotto in qualcosa che suona come “benvenuti a vicenda con amore” è in crescita. L’attività nel Paese di Confucio e di Mao hanno già attratto critiche in un paio di occasioni: in una era emerso che l’elenco delle offerte discriminava a sfavore di uiguri e tibetani; in un’altra si era scoperto che la casa o la stanza in affitto si trovavano su un terreno di un gruppo paramilitare “bandito” dal governo Usa.
Compagnie occidentali attive nello Xinjiang hanno subito boicottaggi dai loro stessi consumatori: un caso eclatante ha avuto come vittima il colosso della moda H&M. Secondo David Tobin, specializzato in studi sull’Asia orientale all’Università inglese di Sheffield, le compagnie che traggono profitto dal turismo nell’area dove gli Uiguri sono stati deportati sono “complici di processi di genocidio”.
Abduweli Ayup, un attivista uiguro che vive in Norvegia, sostiene che una compagnia come Airbnb potrebbe inserire nella sua lista le case che un tempo appartenevano all’etnia minoritiaria. “Hanno tra le loro responsabilità quella di controllare dove sono i proprietari, e quella di chiedersi perché così tante case sono vuote”.