Erano diciotto nel 2005, quando nacque l’alleanza, oggi sono poco meno di cento. C40, ovvero il Cities Climate Leadership Group, rete di 97 grandi metropoli fra le quali anche le italiane Roma, Milano e Venezia, si è dato appuntamento a Buenos Aires, in Argentina, dopo la pausa forzata dovuta all’emergenza sanitaria. Dal 19 al 21 ottobre sindaci ed esperti discuteranno di quali misure adottare per cercare di non superare la soglia di 1,5 gradi di temperatura, “mostrando i progressi compiuti dalle città globali nell’affrontare la crisi climatica durante la pandemia”.

 

Al C40 Summit interverranno nomi di peso, si tratta del resto di un gruppo di città nelle quali vivono 582 milioni di persone e che hanno l’obiettivo comune di combattere la crisi climatica. Oltre al padrone di casa, il sindaco della capitale argentina Horacio Rodríguez Larreta, sul palco saliranno fra gli altri Ada Colau di Barcellona, Sophie Hæstorp Andersen di Copenhagen, Eric Garcetti di Los Angeles, Sadiq Khan di Londra, Claudia López di Bogotá, Oh Se-hoon di Seoul, Elizabeth Tawiah Sackey di Accra, Ricardo Nunes di San Paolo e Yuriko Koike di Tokyo. E per l’Italia Roberto Gualtieri, sindaco Roma e Giuseppe Sala, sindaco di Milano.

Al loro fianco figure del calibro di António Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, Jeffrey Sachs, direttore del Centre for Sustainable Development della Columbia University, Carlos Moreno, professore della Sorbona di Parigi che durante la pandemia lanciò l’idea della città da 15 minuti, Michael Bloomberg, ex sindaco di New York e oggi inviato speciale per le ambizioni e soluzioni climatiche delle Nazioni Unite, Sir David King, che ha creato il Centre for Climate Repair alla Cambridge University. 

 

Sulla carta il Summit di Buenos Aires sembra quindi l’appuntamento per eccellenza per capire i passi avanti fatti e quelli che bisognerà fare, tenendo presente che le città occupano il 2% della superficie terrestre ma ospitano più di metà della popolazione assorbendo oltre il 70% dell’energia prodotta e emettendo l’80% dei gas serra. Si trovano in una situazione difficile sia perché sono parte del problema sia per il rapporto non sempre facile con i governi centrali. Specie quest’anno con una Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Cop27), si svolgerà dal 6 al 18 novembre a Sharm El Sheikh, che molti commentatori guardano con poche speranze ancor prima del suo inizio.

 

Secondo l’alleanza C40 Cities, strategie adeguate potrebbero portare a dimezzare in cinque anni le emissioni. La riduzione più alta nei Paesi ad alto reddito mai registrata. Inoltre, gli investimenti in politiche ambientali potrebbero creare oltre 50 milioni di posti di lavoro, facendo calare al stesso tempo l’inquinamento atmosferico fino al 29% in dieci anni e prevenendo così oltre 270mila morti premature nelle città che fanno parte dell’associazione. Del resto per rimanere al di sotto del grado e mezzo nell’aumento della temperatura, le emissioni medie pro capite dei residenti delle metropoli che aderiscono al C40 devono per forza diminuire del 50% entro il 2030.

Bisognerebbe però puntare sulla “capacità adattiva delle metropoli”, come la definisce Sir David King nel rapporto Cities in a climate crisis pubblicato in queste ore del Climate Crisis Advisory Group (Ccag) che ha lui stesso fondato. “Può consentire una ripresa rapida. Eppure la maggior parte delle persone nelle città del mondo respira aria inquinata, che uccide circa sette milioni di persone ogni anno. Molti inoltre non hanno accesso ad acqua e servizi igienico-sanitari sicuri e a prezzi accessibili e vivono in aree soggette a disastri a causa di eventi climatici estremi. La maggior parte delle città offre opzioni di trasporto inadeguate. In termini assoluti, l’uso e il consumo di energia sono maggiori che in altre aree”.

 

Coloro che sono nati negli ultimi 20 anni, sostiene il Ccag, subiranno effetti sempre più gravi. Effetti che ricadranno soprattutto sulle fasce della popolazione mondiale più povere che hanno un ruolo marginale nelle emissioni di gas serra. L’Oxfam, la confederazione internazionale di organizzazioni non profit che si dedicano alla riduzione della povertà globale, riferisce che i fondi necessari per far fronte al disastro climatico sono aumentati dell’800% negli ultimi due decenni.

 

Di qui la necessità di intervenire iniziando dal trasporto su strada, la prima fonte di inquinamento atmosferico a livello globale ed è responsabile di un terzo delle emissioni di gas serra nelle città. “Le metropoli C40 stanno costruendo un futuro con emissioni ridotte, in cui la maggior parte dei residenti potrà viaggiare a piedi, in bicicletta o con i mezzi pubblici, garantendo al contempo che i restanti viaggi in auto siano effettuati utilizzando veicoli a emissioni zero“, fa sapere la rete delle metropoli. Si tratta di una svolta netta della quale si possono vedere tracce in capitali come Parigi che ha puntato molto sulle biciclette, ma che è ancora lontana dall’essere completata. E di tempo, stando a climatologi come Isabelle Seneviratne, ne abbiamo davvero poco per invertire la rotta.

Fra comunità energetiche, gestione dei rifiuti, creazione di nuovi spazi verdi, impiego dei sensori per avere in tempo reale il polso di quel che accade iniziando dal traffico e dall’inquinamento dell’aria, l’illuminazione a led come quella della stessa Buenos Aires che è stata la prima metropoli a passare completamente alle lampadine di nuova generazione, durante i due giorni del C40 Summit verranno affrontati tutti o quasi i temi fondamentali legati al tentativo di molte metropoli di arrivare alla neutralità carbonica entro il 2050 e in alcuni casi addirittura entro il 2030. Obbiettivi ambiziosi che in Argentina ci si aspetta siano supportati da dati e fatti concreti.