Santorini, Mykonos e le Cicladi tutte. Così come le Ionie e le Sporadi. Le isole greche, che tanta parte occupano nel nostro immaginario vacanziero, in quest’estate post Covid (che post Covid purtroppo non è) registrano il pienone di italiani che scelgono (secondo i dati di Confturismo e dell’Associazione Imprese Turistiche greche) la Grecia come prima destinazione estera. E’del l’irresistibile richiamo dell’Egeo e dei prezzi più contenuti rispetto a molte località balneari del Belpaese. Eppure, al di là delle casette bianche e azzurre, delle cupole romantiche di Santorini (prima isola del Paese per presenze italiane) e delle più mondane spiagge con discoteca e annesse starlette internazionali, c’è un’altra Grecia: silente, nascosta, punteggiata di ulivi, verdissima, buongustaia, più timida turisticamente, ma archeologicamente straordinaria e genuinamente selvaggia. E‘ la Grecia con l’imprinting di Alessandro Magno (IV secolo a. C.) e di suo padre Filippo II racchiusa nella regione della Tracia-Macedonia Orientale, a nord est del Paese, poco lontano dal confine con la Bulgaria e la Turchia: una capitale amministrativa (Komotini) e una città di riferimento (Alessandropoli), due isole a largo della sua costa (Samotracia e Thassos) e tanta di quella storia che a raccontarla per le vie brevi si rischia di diventare davvero didascalici. E allora basti una parola: Nike di Samotracia, scolpita più o meno nel 200 a.C. Vale a dire quella svettante Vittoria Alata che accoglie i visitatori dallo scalone del Louvre di Parigi e che dall’isola omonima è emersa a metà dell’Ottocento grazie al lavoro dell’archeologo e diplomatico francese Charles Champoiseau. Qui, è rimasta una straordinaria copia di marmo di due metri e mezzo di altezza, acefala e senza braccia, di padre anonimo; tuttavia, inondata dalla luce autentica del cielo su cui dispiega da secoli le ali. Intorno il Santuario dei Grandi Dei e ciò che resta dei riti misterici, passaggi di sacralità assai più ancestrale dei greci stessi.
Ma prima che alla maestosa opera dell’uomo, per quanto specialissima in Tracia, la precedenza in pochi giorni di itinerario va data, certamente, alla natura. Quella che non ti aspetti, oltre il mare cristallino e le chiassose taverne piazzate sulla costa. La catturi all’alba, su una barca verde dalla chiglia piatta che naviga borbottando nelle acque del fiume Evros fino al Mediterraneo, anzi fino al tratto di mare che lambisce la “parte” turca. Alla guida c’è Christos Paschalakis che ha cominciato con la sorveglianza dei confini greci del Parco Nazionale del Delta del Fiume Evros e ha finito per diventare un punto fermo naturalistico. Conosce le anse di giunchi, le barene, le isole di sabbia e le secche del delta come le sue tasche. Lui, suo padre e, prima ancora, suo nonno, nell’Evros hanno pescato gamberetti, ostriche, cefali e tanto altro da vendere ai ristoranti. Poi Christos ha intuito che la bellezza della sua “laguna” da 200.000 ettari, 320 varietà di uccelli, oltre 300 specie di piante, rive ricche di tesori dell’habitat come forzieri d’oro, potesse essere condivisa con chi d’estate arriva da lontano e le escursioni sono diventate esperienze. Due-tre ore di viaggio lento (al costo di una ventina di euro) nell’esistenza degli aironi, degli ibis, dei cormorani, delle farfalle, dei pellicani, dei cigni, delle poiane. A bordo tutti zitti, il corsetto-salvagente arancione addosso, gli occhi spalancati, cercando di carpire i segreti di un universo acquatico fatto di rane e pesci guizzanti, di nutrie e fiori sconosciuti intrappolati tra le felci e i “cespugli” di salicornia. Il cielo rosa del mattino confonde le linee bianche lontane: sembrano boe, eppure sono file ordinatissime di aironi che all’improvviso si alzano in volo, sembrano enormi coriandoli macchiati di rosa. Christos racconta paziente. Il binocolo passa di mano in mano. S’intravedono dei piccoli falchi, non si avvicinano. Ogni specie ha il suo angolo.
Paradiso dei birdwatchers il delta dell’Evros, speciale zona protetta che fa parte del network europeo Natura 2000, non è l’unico teatro green su cui la regione alza il sipario. Per chi ama cimentarsi in pratiche più ardite – dalla canoa al kayak passando per il rafting, il trekking e l’aero fune (ci si lancia con una carrucola da una sponda all’altra) – nella foresta del Nestos tutto è possibile. Anche questo fiume – che si trova al confine tra la città di Kavala e Xanthi ed è sempre nell’area del Parco Nazionale della Macedonia Orientale e Tracia costituito nel 2008 – ha un delta che (come l’Evros) possiede un habitat straordinario, così particolare da essere incluso tra le zone umide più importanti d’Europa. Si esplorano le sponde del Nestos, che sgorga dai Monti Rodópi e sfocia nell’Egeo, tra i pendii di imponenti massicci montuosi. O, magari, si può optare per un trekking blando in quota oppure più sportivo, sulla base delle proprie capacità. In ogni caso il panorama non delude mai e le fronde di pini, eucalipti, faggi, magnolie, querce regalano ossigeno anche nelle giornate più calde di questa estate torrida. Si cammina a ridosso della montagna. E qualche decina di metri più sotto spunta una vecchia rete ferroviaria, con ben 30 gallerie deserte, dove fino a qualche anno fa passava un trenino locale. “Una linea comprata dalle Ferrovie dello Stato italiane – spiega la guida della Riverland, Ilis – che ora è stata abbandonata. E la gente del paese più a monte è in attesa del progetto di ripristino, speriamo si sbrighino…”. Più avanti il parco regala sorprese sul fronte botanico e non solo, ma il cielo si oscura e la pioggia imminente costringe a spingersi verso mete più urbane.
Venti minuti più tardi e con moltissimi alberi e curve nell’obiettivo fisso sul finestrino, si raggiunge in auto la cittadina di Xanthi che merita un tour per il suo eclettismo architettonico e la vivacità di caffè, taverne, hammam. Poco più di 50mila abitanti (ma ci sono 20mila studenti universitari) e un’importante presenza mussulmana. Nelle sue stradine mostra tradizionali case ottomane e alcune ville storiche costruite dai mercanti di tabacco. Commercio che ha caratterizzato la zona soprattutto nel secolo scorso (ancora oggi esiste una piccola produzione) e ha lasciato residenze come la Kougiumtzoglou mansion del 1877, già proprietà di un commerciante oggi passata al comune. Dagli esterni riccamente decorati della mansion è facile dedurre quale stile di vita avessero i notabili di questo centro a una quarantina di chilometri da Kavala. Praticamente la stessa distanza che separa Alessandropoli, Drama e Komotini tra di loro. Non una distanza studiata a tavolino, piuttosto quella che – secondo quanto ripetono gli abitanti della regione – Alessandro Magno aveva ritenuto più consona al riposo dei suoi cavalli. Tappe di sosta ippiche trasformate in capoluoghi. Le cinque città che oggi delimitano geograficamente la regione Macedonia Orientale-Tracia dove insieme ai greci vivono minoranze di origine turca, armeni e imprenditori bulgari. Uomini d’affari “moderni” che in borghi marinari come Nea Peramos, ad appena venti chilometri da Kavala, hanno investito tempo e denaro per costruire oasi di villeggiatura. La dimostrazione? Una lunga fila di ristoranti pieds dans l’eau tra cui è d’obbligo segnalare Glikananisos che la sera, davanti al mare scintillante, propone nei suoi piatti color lavagna l’evoluzione della cucina greca classica. Un puzzle di sapori e un giovane chef che si esprime tra pesce mediterraneo e prodotti di questa terra di confine zeppa di arte, natura e antropologiche contraddizioni.
Sacra non soltanto agli Dei, la terra che appena fuori Kavala conduce a Filippi, antica città della Macedonia nominata così da Filippo II, poi sottomessa all’Impero Romano (con la battaglia di Filippi del 42 a. C.) ed infine evangelizzata da San Paolo che qui battezzò la prima donna cristiano-europea, Lydia. La stessa terra a cui l’apostolo dedico l’epistola ai Filippesi, abitanti del lembo dove oggi troneggia un battistero dedicato a Lydia, una piscina (dove si ripetere il rito del battesimo per immersione) e una volta della cappella dipinta alla maniera bizantina che ricorda la vita del santo. Ma c’è di più: nel 2016 l’area archeologica di Filippi è stata inserita tra i siti greci Patrimonio Unesco. Sarà per la sua collocazione sulla Via Egnatia, la via commerciale che collegava l’Europa all’Asia, oppure per la sua trasformazione da insediamento ellenistico a colonia romana e il mantenimento dell’uno e l’altro aspetto abitativo o ancora per la sua straordinaria testimonianza? Un teatro greco quasi intatto ampliato dai romani e un Foro dove passeggiare con il naso all’insù. Per toccare uno strato epocale via l’altro, compresa (qualche secolo più tardi) l’avventura sanguinaria delle crociate. Un’epopea.
L’ultima tappa per guardare questa Tracia selvaggia da un inusuale punto di vista, ci porta sottoterra. A una ventina di chilometri da Drama. Nei meandri della Grotta di Aggitis, un fiume lungo ben 75 chilometri affluente dello Strymonas, che sgorga dai monti Falakro, che ha scavato nelle viscere della Macedonia orientale un’ambiente ai limiti del fantascientifico. Entrarci lascia senza fiato, ma non senza ossigeno. Perché nella grotta fluviale più grande del mondo che si estende per 21 chilometri (ma adesso gli speleologi ipotizzano siano 38) si cammina su una passerella di ferro per oltre 500 metri tra stalattiti colorate e l’acqua che corre sotto la grata di calpestio. Di ossigeno ce ne è in abbondanza e pure di pesci “albini”, di strane aragoste, di pipistrelli persi in altezze a cui l’occhio non arriva e di metalli che tra le pietre s’illuminano con il rifrangere della luce. E abbondanti sono anche i misteri ancora non svelati della cavità ipogea che sembra aver circa 30mila anni e dove sono stati rintracciati perfino resti di mammut. Un prodigio underground, che nasce dal fiume e da due rami d’acqua, a cui si affacciano oggi 20mila visitatori. È stato un crescendo continuo dal 1978, anno in cui questo antro fu scoperto da un gruppo di speleologi francesi. All’uscita l’aria è umida, contrasta con la temperatura percepita sotto le stalattiti. Qualche brivido accompagna l’ultimo tratto di strada ipogea. Da evitare, almeno per quelli che alla Grecia chiedono una vacanza tutta stile balneare.