L’ultima sfida di Alex Bellini, esploratore e divulgatore ambientale conosciuto per le sue imprese estreme è stato navigare sul Mekong con una zattera auto costruita con materiali di scarto, per testimoniare lo stato di inquinamento di uno dei fiumi più lunghi al mondo. Per la prima volta, Bellini è stato accompagnato dalla moglie e dalle due figlie di 13 e 11 anni.
Il viaggio diventerà ora un documentario sullo stato di inquinamento delle acque fluviali, responsabili del 90% della plastica che dal loro corso contamina direttamente il mare.
Il Mekong è stato la settima tappa, dopo l’Indo, il Gange, il Pacific Garbage Patch, il Fiume delle Perle, il Nilo e il Po, del progetto 10Rivers1Ocean, per raccontare in che stato si trovano i dieci più grandi fiumi al mondo e lanciare l’allarme sulla grave situazione globale, altamente dannosa per la sopravvivenza di chi vive lungo le rive dei grandi corsi d’acqua.
Sei alla settima tappa del tuo progetto. Rispetto a quando hai iniziato, hai visto un peggioramento della situazione idrica?
“Con la navigazione del Mekong tra dicembre e gennaio sono arrivato alla settima tappa del mio progetto. Rispetto alle prime navigazioni del 2019, del Gange e del Fiume delle Perle in Cina, non posso dire che la situazione sia peggiorata, è sempre stata a livelli emergenziali. I paesi in cui scorrono i fiumi più inquinati al mondo sono alle prese storicamente con un deficit idrico di cui la crisi climatica è responsabile solo in parte. Le attività dell’uomo hanno fortemente contribuito ad alterare il flusso naturale di questi grandi fiumi, che a sua volta interferisce profondamente sul bilancio tra l’afflusso e il deflusso di sedimenti creando problemi ecologici e ambientali.”
Perché il Mekong è importante?
“Il Mekong è uno dei sistemi fluviali biologicamente più diversificati del mondo, superato solo dall’Amazzonia e forse dal Nilo. Fino ai primi anni duemila vantava la più grande pesca interna del mondo. Oggi tutto è cambiato e in alcuni mesi dell’anno il livello dell’acqua è così basso che neppure i pescatori possono più andare a pesca. Qualcuno tra i locali crede che la responsabilità sia della Cina che a Nord sta trattenendo enormi quantità di acqua con invasi e dighe, favorendo in tal modo l’aumento della siccità nei paesi a Sud (Laos, Cambogia, Thailandia, Vietnam) e affermare così una sempre maggiore influenza nell’area. Non a caso, in queste zone, si parla di guerra dell’acqua.”
La tua zattera è stata anche sul Po: c’è una particolarità nella situazione italiana, rispetto all’inquinamento e allo sfruttamento delle risorse idriche?
“Nel luglio del 2021 ho navigato il Po, da Piacenza fino alla foce. Rispetto agli altri grandi fiumi sopra citati, il tasso dell’inquinamento è decisamente minore, tuttavia in esso ho rivisto molte, per non dire tutte le cause responsabili della crisi idrica che colpiscono i corsi d’acqua del Sud-est asiatico. Come per il Gange e l’Indo, che si nutrono di ciò che proviene dalla catena montuosa himalayana, la vita e la salute del Po dipendono principalmente da quello che succede sulle Alpi, e per il secondo inverno di fila le precipitazioni sono state particolarmente scarse. Purtroppo la siccità registrata quest’anno rischia di non rimanere un evento eccezionale, ma di diventare la regola. Infatti, nel bacino del Po negli ultimi trent’anni le precipitazioni sono diminuite del 20%. Tra le cause va messa anche la variazione di circolazione dell’aria sul Mediterraneo: mentre in passato eravamo interessati dagli anticicloni delle Azzorre, oggi siamo più soggetti agli anticicloni africani più caldi e secchi.
In secondo luogo, esattamente come succede per il Nilo o per il fiume delle Perle, a peggiorare la condizione climatica negativa si aggiungono le conseguenze di uno sfruttamento eccessivo del Po che va avanti da decenni: l’acqua viene costantemente prelevata per soddisfare la sete di coltivazioni idroesigenti come il mais, e derivazioni e invasi riducono la portata del fiume a vantaggio di impianti delle centrali idroelettriche infatti.
Infine, come per l’Indo, l’abbassamento del livello del fiume ha fatto sì che nelle aree del delta del Po l’acqua di mare sia risalita fino a trenta chilometri dalla foce e ciò danneggia le coltivazioni, gli habitat naturali e crea problemi agli impianti di generazione e di potabilizzazione dell’acqua.”