Almo Nature prosegue il suo progetto di “reintegration economy”, cioè, spiegano dall’azienda produttrice di alimenti per cani e gatti, di “un sistema economico in cui il capitale è messo a disposizione del bene collettivo anziché destinato al mero vantaggio personale”. Nata nel 2000 a Genova, quando i fratelli piemontesi Pier Giovanni e Lorenzo Capellino hanno deciso di creare alimenti per animali solo con ingredienti destinati al consumo umano, l’azienda è cresciuta in modo costante, fino a raggiungere quest’anno 100 milioni di fatturato (60% fuori dall’Italia). 

Il 1 gennaio del 2018 i fratelli Capellino hanno rinunciato al dividendo e dal 28 giugno 2019 anche al 100% della proprietà, donando con atto pubblico irreversibile sia il dividendo, sia la proprietà alla Fondazione Capellino, la cui finalità è il sostegno a progetti di salvaguardia della biodiversità e alla lotta al cambiamento climatico. Tra questi, per esempio, il progetto LIFE WolfAlps EU, per migliorare la convivenza tra lupo e attività umane nelle Alpi, progetto di cui la Fondazione Capellino è primo cofinanziatore dopo l’Unione Europea.

Ora, per tenere fede allo slogan “Riporta la Natura nel Pianeta”, che secondo i fratelli Capellino “non è una trovata di marketing ma impegno vero, sincero ed attivo vissuto per il Pianeta” l’azienda si impegna entro i prossimi trent’anni, a diventare un’azienda a impatto neutrale sulla biodiversità: obiettivo per il quale ha commissionato alla società francese CdC Biodiversité uno studio che misuri l’impatto dell’industria del pet food sulla salute degli ecosistemi.

“Almo Nature fondato così un nuovo modello economico, che spera potrà essere adottato da altre imprese per restituire alla Natura tutto quel che l’uomo le ha sottratto nella storia – dicono dall’azienda – Nella Reintegration Economy il capitale è messo a disposizione del bene collettivo anziché destinato al vantaggio personale, perché in un mondo dominato dall’individualismo finiscono paradossalmente per essere compromessi anche i nostri stessi interessi individuali, allorché un avido e frenetico sfruttamento delle risorse porta gli ecosistemi terrestri al collasso”.