Sedici anni di lavoro, di emozioni, di vita. È ciò che traspare quando Giorgio Viero, operatore del settore lattiero-caseario 35enne, racconta di sé: “Il bello di questo lavoro – dice il casaro -, è che è molto manuale e non ci si ferma mai. Ecco, a me piace a muover le mani”. Senza mai smettere però di innovare, sempre nel rispetto del disciplinare, grazie all’ausilio di tecnologie.
Tramandare le competenze antiche
Giorgio Viero racconta una storia professionale che si basa sui valori. Valori antichi a lui tramandati dalle generazioni precedenti e che lui spera di riuscire a trasmettere ai giovani: “La mia formazione – racconta – è iniziata grazie agli anziani dai quali ho imparato le varie tecniche: lavoravo con un casaro “tosto”, uno che voleva che il lavoro fosse fatto alla perfezione. All’inizio è stata dura, ero molto giovane, però adesso mi rendo conto che come mi ha insegnato lui non avrebbe fatto nessun altro e quasi quasi, alla fine gli voglio bene”.
È questo l’approccio che ha mutuato nell’insegnare ai ragazzi che si approcciano al mestiere di casaro: “Mi sembra di adoperare quasi la stessa maniera per insegnare ai ragazzi: a me piace spiegare la praticità della cosa – racconta soddisfatto – Non sta a fare così, non fare così, che è più facile se fai così, fai meno fatica”. Insegno in un corso che tratta delle piccole produzioni locali e la mia volontà sarebbe quella di continuare a crescere perché mi fa sentire vivo”.
Tradizioni e Grana Padano
Un amante delle tradizioni non poteva che entrare in un consorzio di un prodotto secolare. La storia racconta che il formaggio grana della Pianura Padana ha avuto origine circa nel 1135, all’interno delle antiche mura di pietra dell’Abbazia di Chiaravalle, a sud di Milano. Quel luogo divenne immediatamente un punto di riferimento per l’esperienza monastica basata sullo spirito dell'”Ora et Labora – prega e lavora”, il quale esempio di sobrietà, semplicità di vita, rispetto per l’ambiente e valorizzazione del lavoro continua ad essere rilevante anche oggi e costituisce una premessa per il futuro.
All’interno del monastero, precursori dei moderni caseifici, i monaci svilupparono un metodo di produzione di formaggio duro mediante l’utilizzo di apposite caldaie. Questo formaggio era destinato a migliorare con il tempo grazie al processo di stagionatura. I monaci lo chiamarono caseus vetus, ovvero “formaggio vecchio”, in latino. Tuttavia, il nome caseus vetus era difficile da pronunciare per il popolo che non aveva familiarità con la lingua latina. Di conseguenza, il formaggio prese il nome da una caratteristica della sua pasta: compatta ma granulosa. Così nacque il nome di “formaggio di grana” o semplicemente “grana”. Il momento di svolta nella produzione dei formaggi è datato 1951. A Stresa, nel giugno di quell’anno, tecnici e operatori caseari europei siglarono una “Convenzione”, nella quale fissarono norme precise in tema di denominazione dei formaggi e indicazioni sulle loro caratteristiche.
“Far parte della produzione di Grana Padano – conclude Giorgio Viero – ti fa sentire soddisfatto perché sai che il prodotto che fai è il più consumato, conosciuto in tutto il mondo e molto buono”.