Il ghiacciaio più meridionale d’Europa ha aperto il suo cuore ai ricercatori. Ed è un cuore che svela i suoi affanni, visto che la sopravvivenza del corpo glaciale del Calderone, sul Gran Sasso, è ad altissimo rischio a causa del riscaldamento globale, con una perdita annuale di circa un metro di spessore. La missione organizzata da Cnr-Isp, Università Ca’ Foscari, in collaborazione con Ingv e Università di Padova ha terminato la campagna di perforazione con la quale è stata prelevata la prima carota di ghiaccio.

La missione fa parte del progetto internazionale Ice Memory, per raccogliere e conservare campioni di ghiaccio prelevati dai ghiacciai di tutto il mondo che potrebbero scomparire o ridursi moltissimo a causa del riscaldamento globale. Ora gli scienziati hanno per la prima volta a disposizione anche un campione di ghiaccio profondo dal glacio-nevato del Calderone, la cui analisi chimica permetterà di ricostruire il passato climatico e ambientale del massiccio e delle regioni circostanti.

Questa ultima spedizione (ad aprile c’era stata una prima missione per verificare le condizioni del ghiacciaio) inizialmente condizionata dal maltempo, è durata 12 giorni ed è stata possibile grazie al Corpo nazionale dei vigili del fuoco (VVF), che ha messo a disposizione mezzi e personale dei reparti Volo di Pescara e Roma Ciampino per raggiungere la conca del ghiacciaio, ai piedi del Corno Grande, a 2.673 metri di quota. Mentre il personale e i materiali più leggeri sono stati trasportati con un elicottero di ultima generazione AW-139, la macchina carotatrice, del peso di 4.500 kg, è stata portata fin sul Calderone dall’Erickson Air Crane S-64, la ‘gru volante’ del Dipartimento dei Vigili del Fuoco, Soccorso pubblico e Difesa civile, in grado di sostenere carichi pesanti fino a 9.000 kg. Le operazioni sono state agevolate dall’apertura straordinaria del rifugio Franchetti, di proprietà del Club alpino italiano (Cai) di Roma, dal supporto operativo da parte del Soccorso alpino abruzzese e del Comune di Pietracamela.

Il carotiere ha toccato la roccia basale del glacio-nevato del Gran Sasso a 27,2 metri di profondità, aggiornando la stima di 26 metri realizzata dallo stesso team lo scorso aprile, grazie alle indagini geofisiche che hanno permesso di individuare il punto più promettente per la perforazione. “La perforazione è stata piuttosto difficoltosa”, dice Jacopo Gabrieli, ricercatore Cnr-Isp e coordinatore sul campo della missione, “sia per le condizioni meteorologiche spesso molto dure, sia perché il ghiaccio era plastico, ossia estremamente caldo e intriso d’acqua, e la punta del carotiere tendeva a impastarsi, non riuscendo ad inciderne la superficie”.


Campione dopo campione, i ricercatori hanno esplorato la profondità del Calderone. “Sotto una coltre di detriti, abbiamo via via incontrato un ghiaccio sempre più ‘pulito’ ma diverso da quello dei ghiacciai alpini a causa delle particolari condizioni termiche dei diversi strati”, prosegue Gabrieli. “Attraverso mirati studi di laboratorio, cercheremo di definirne le caratteristiche e di acquisire le informazioni chimiche e isotopiche conservate, se disponibili. Nella parte mediana del profilo abbiamo verificato la presenza di residui vegetali e di insetti, la cui datazione potrà aiutare a comprendere quando si è accumulato il ghiaccio circostante”.

“Questa spedizione era una scommessa, non sapevamo cosa avremmo trovato in profondità nel Calderone, che ogni anno perde circa un metro di spessore”, commenta Carlo Barbante, direttore Cnr-Isp, professore all’Università Ca’ Foscari Venezia e co-ideatore del programma internazionale Ice Memory. “La carota estratta sembra avere tutte le carte in regola per poter ricavare importanti informazioni sulla storia climatica e ambientale dell’Italia centrale e dell’intero bacino del Mediterraneo. Un archivio ambientale davvero unico che già a un primo sguardo presenta caratteristiche glaciologiche molto interessanti.” Una volta terminata la fase preliminare di analisi dei campioni e verificata la conservazione della stratigrafia e dei segnali climatici ed ambientali, la carota sarà messa a disposizione del programma internazionale Ice Memory e quindi trasferita presso il sito di stoccaggio presso il sito di DomeC, in Antartide.