Cambiamo la vita degli animali anche senza fare niente, o quasi niente. D’altronde, la recente esperienza dei lockdown e della pandemia ce lo aveva messo davanti agli occhi, con le immagini degli animali negli spazi che noi avevamo lasciati vuoti. Senza bisogno di interagirci, la nostra presenza altera il comportamento degli animali, persino quando lo facciamo in modi che riteniamo poco invasivi, come passeggiare. Anche solo fare trekking infatti impatta sulla fauna selvatica, ne cambia i movimenti e le abitudini. A confermarlo è uno studio che arriva proprio dai tempi dei lockdown pandemici, e che ha analizzato i comportamenti di alcuni animali selvatici all’interno di un parco americano, il Glacier National Park, nel Montana.
Il Glacier è un posto mozzafiato, dove marmotte, leoni di montagna, coyote, capre di montagna, aquile e pecore delle montagne rocciose (meglio note come bighorn) scorrazzano più o meno indisturbati. Il parco è anche gradita meta turistica, con oltre tre milioni di visitatori l’anno. Come molti altri siti, durante i lockdown il parco è stato chiuso, diventando l’occasione per il team di Daniel Thornton e Alissa Anderson della Washington State University e John Waller del Glacier National Park di osservare il comportamento della fauna selvatica, e di confrontarlo con quello degli animali una volta che i visitatori sono stati riammessi. Lo hanno fatto utilizzando delle fototrappole piazzate in prossimità dei sentieri.
I risultati, come raccontano su Scientific Reports, lasciano spazio a poche interpretazioni. La presenza umana impatta negativamente sulle abitudini degli animali: si vedono meno e diventano più attivi di notte nel complesso. Più nel dettaglio, la presenza umana diminuiva le possibilità di avvistamento dell’orso nero, dei coyote, delle alci, della martora e della lince. Orso nero, coyote, alce e lince usavano anche meno i loro abituali spazi. Grizzly e coyote con la presenza umana tendevano a diventare più notturni.
La volpe rossa al contrario spiccava tra gli animali osservati perché tendeva a farsi vedere di più durante i periodi di apertura del parco, forse, azzardano gli autori per la scomparsa dei coyote, generalmente ben tolleranti però alla presenza umana. Cercare di trovare dei trend nell’ecologia degli animali non ha portato a risultati significativi. Per esempio, predatori apicali, come lupi e puma, si comportavano infatti in modi diversi: i primi sembravano sensibili alla presenza umana, i secondi no.
“Il nostro lavoro non dice che fare escursionismo è necessariamente una cattiva scelta per gli animali selvatici, ma che questo ha comunque degli impatti sull’ecologia spaziotemporale, e su come e quando gli animali usano gli animali in cui vivono”, ha commentato Alissa Anderson. Più in generale, ammettono Anderson e colleghi, conciliare la fruibilità dei parchi naturali con le strategie di conservazione potrebbe essere più difficile di quanto creduto.
Studi come questo, e anche più approfonditi – mirati a comprendere se parliamo solo di abitudini cambiate o di effetti apprezzabili anche sulle capacità di sopravvivenza degli animali – aiuteranno di certo a capire come bilanciare esigenze così diverse, concludono gli esperti. Senza per forza rinunciare a meraviglie come quelle del Glacier National Park.