È sempre più frequente, in questo periodo, sentir parlare di “overtourism”: sono ogni volta di più le città che cercano di arginare il numero ormai insostenibile – per molte realtà – di turisti bramosi di esperienze e alla ricerca del bello, poiché il risultato è un ridotto livello della qualità della vita per i residenti, della qualità della visita per chi arriva e un ulteriore peggioramento della già grave emergenza abitativa. Non sono solo i grandi centri a risentire di questo problema, però: cosa succede se troppe persone visitano gli stessi posti, nello stesso periodo, in montagna?
Nei luoghi più turistici è ormai impossibile trovare casa in affitto: sia per gli abitanti, sia per i molti lavoratori stagionali che nei mesi estivi e in quelli invernali vengono richiamati sul posto, per offrire servizi a chi sceglie queste località per le vacanze. La viabilità, inizialmente pensata per i residenti, non riesce a reggere il numero di mezzi che ora prendono d’assalto passi e paesini; diminuisce poi il potere d’acquisto degli abitanti a causa dell’incremento dei prezzi. Degrado ambientale, aumento del consumo idrico, dell’inquinamento e dei rifiuti, oltre al sovraccarico dei servizi pubblici sono altre criticità di cui tener conto.
Se si pensa alle escursioni, inoltre, cresce il carico di lavoro per il soccorso alpino – purtroppo molte persone si trovano in difficoltà per mancanza di preparazione o conoscenze – su alcuni sentieri si fa la fila, rendendo rischiosa la percorrenza nei tratti più stretti o accrescendo il pericolo di ferirsi con le pietre smosse. Il turismo è sempre più influenzato dalla cultura di massa: si sceglie dove andare in base a foto e reel visti sui social media, a quello che consigliano gli influencer, o per visitare un luogo dove è stato ambientato un film o una serie tv: come non pensare all’assalto al lago di Braies dopo che lì è stato girato “Un passo dal cielo”, o a quanti arrivano al lago di Sorapiss con abiti cittadini per i selfie di rito per poi rischiare di farsi male lungo il percorso.
Se, quindi, da un lato, bisogna riconoscere gli effetti positivi del turismo, in particolare quelli economici, in parte quelli sociali, che si traducono in maggiori infrastrutture, dall’altro vanno considerati e mitigati i molti effetti negativi legati a un suo sviluppo eccessivo. Infine, può essere utile un’ultima riflessione: la salvaguardia dell’ambiente naturale determina la definizione di vincoli che limitano e disciplinano l’attività umana nei territori tutelati, di solito a favore delle altre specie viventi che li abitano. Nelle province montane la percentuale di territorio protetto è molto più elevata rispetto alle aree urbane, in parte perché queste zone si trovano in ambienti marginali, dove gli interessi economici umani sono meno invasivi e penetranti, in parte perché si è cercato un maggiore bilanciamento tra guadagno immediato e natura.
Se, però, questo squilibrio continua a essere così ampio, il rischio di conflitto è alto: per chi vive in questi territori è accettabile che chi si trova in pianura si dedichi allo sfruttamento intensivo dell’ambiente ma si batta per la sua conservazione sui rilievi – bloccandone, quindi, anche lo sviluppo – per poterne godere (non solo, ma anche) quando va in vacanza? Andrebbero salvaguardate molto più di quanto avvenga ora le aree urbane e di pianura, incrementandone la qualità, in modo che gli abitanti possano ritrovare anche lì il contatto con la natura che viene quasi spasmodicamente ricercato, soprattutto dopo il Covid, in montagna. Una montagna a volte idealizzata e stereotipata, molto spesso non compresa, non conosciuta, non rispettata