Lo sottovalutiamo. Non ci facciamo caso. Non ne abbiamo contezza. Eppure navigare in un mare di dati (mail, foto, messaggi Whatsapp e video) ha un costo. Gigantesco. E a pagarne le conseguenze è ancora una volta il Pianeta. C’è un esempio sbalorditivo che rende l’idea: se 70 milioni di abbonati in streaming abbassassero la qualità video dei servizi di streaming da HD a Standard avremmo una riduzione mensile di 3,5 milioni di tonnellate di CO2. Ovvero, il 6% del consumo mensile di carbone negli Stati Uniti.
Ma c’è di più: spesso siamo letteralmente sommersi di rifiuti digitali. Che creano inquinamento. Ed è per questo, per accrescere la consapevolezza dell’impronta ambientale digitale attraverso azioni di sensibilizzazione digitale responsabile, che oggi si celebra il Digital Cleanup Day. Con un triplice invito: ripulite le memorie dei vostri dispositivi, non inviate messaggi ed email inutili e, soprattutto, ragionate sempre sull’opportunità di dare una seconda vita alle apparecchiature digitali. L’iniziativa è stata ideata dal World Cleanup Day France: lanciata per la prima volta nel 2020 (con il nome di Cyber World CleanUp Day), si svolge tutti gli anni il terzo sabato di marzo. E il movimento, che abbraccia 91 paesi in tutto il mondo, è in crescita.
Il riscaldamento globale passa anche dai nostri dispositivi
In Italia è l’organizzazione no-profit “Let’s do it Itay”, nata con l’obiettivo di ripulire il mondo dai rifiuti e contrastare i cambiamenti climatici, a coordinare azioni di sensibilizzazione su scala nazionale. “Proviamo a far capire alle persone che i rifiuti digitali creano inquinamento digitale che continua a consumare energia anche quando ce ne siamo dimenticati. – spiega il presidente Vincenzo Capasso, esperto informatico con diploma di Master in Information Tecnology e sicurezza di rete nelle pubbliche amministrazioni – Perché la spazzatura digitale si trova nei backup sui server che ci forniscono il servizio cloud e continuano a consumare elettricità“.
Serve una piccola rivoluzione culturale, insomma. Perché, prosegue Capasso, “il nostro consumo illimitato di dati oggi richiede tre volte più energia di quanta ne possano produrre tutti i pannelli solari del mondo. E la nostra mania di Internet funziona principalmente con i combustibili fossili”. Insomma: i clic superflui e lo streaming passivo sono responsabili di oltre 870 milioni di tonnellate di CO2. “Contribuendo in modo consistente – spiega ancora il presidente di “Let’s do it Italy” – al riscaldamento globale”. Nei giorni scorsi l’organizzazione ha così promosso tra i cittadini una serie di challenge, a cominciare dall’eliminazione delle vecchie email, dalla cancellazione dalle newsletter inutili e dalle rimozioni degli allegati nei nostri download dalle email di cui non abbiamo più bisogno.
“Il 60% delle email non viene aperto, ogni anno vengono inviate 62 trilioni di email di spam. Restano solo lì a occupare spazio ed energia nella nostra casella di posta“, prosegue Capasso.
Quanta CO2 consuma una singola e-mail?
“La verità che il mondo ha sempre fatto tardi e oggi ne paghiamo le conseguenze, abbiamo sempre sottovalutato il suo tremendo impatto sull’ambiente e l’ecosistema, e oggi sappiamo quanto sia complesso correre ai ripari. – spiega Enrico Parolisi, laureato in informatica, strategist di comunicazione digitale, direttore della testata dedicata ai temi di economia, impresa e innovazione “F-Mag” – Per questo, ora che il mondo digitale e interconnesso è un fatto e non si torna indietro, è bene – una volta tanto nella storia dell’umanità – sapere che anche la nostra vita online ha degli impatti non trascurabili. E il primo esempio è proprio quelle nostre e-mail. Una ricerca quantifica in 64 milioni al giorno le mail ‘inutili’ inviate nel solo Regno Unito. E si stima che una singola e-mail si stima abbia una carbon footprints tra i 4 e i 50 grammi di CO2.
I dati spesso sembrano intangibili sono stipati su macchine vere che consumano energia. Immaginate quindi queste macchine che non possono spegnersi per conservare copie di messaggi con su scritto un banale ‘graziè o newsletter con informazioni di dieci anni fa. La differenza, rispetto al passato, è che oggi siamo consapevoli di questo impatto. E sarebbe imperdonabile non comportarci di conseguenza”.
C’è la call? Spegnete la videocamera
E ci sono dei numeri assolutamente emblematici. Un dipendente che partecipa a 15 ore di riunioni online con la videocamera accesa, pratica sempre più diffusa nell’epoca post-pandemia, crea 9,4 kg di CO2 al mese. “Spegnendo il video risparmierebbe la stessa quantità di emissioni che si creano caricando uno smartphone ogni notte per oltre tre anni”, spiega il presidente di “Let’s do it Italy”. E ancora: “Lo sapete che ci vuole più energia per estrarre i Bitcoin di quanta ne consuma l’intera Nuova Zelanda in un anno? Proprio così: il mining (l’estrazione di dati, ndr) di Bitcoin non produce altro che pochi byte di dati crittografati, consuma enormi quantità di energia con l’informatica senza creare effettivamente un prodotto o un servizio d’uso. Ancora: Google consuma 15.616 MWh di energia al giorno, più di quanto produce la diga di Hoover e alimenterebbe un intero paese con un milione di abitanti per un giorno”.
Guadagniamo (anche) tempo libero e serenità
E se la questione della sostenibilità ambientale è certo di primaria importanza, anche perché l’eliminazione di dati non necessari consente anche di allungare la vita dei gadget tecnologici, fare pulizia – spiega l’organizzazione – aiuta anche “a sentirci più equilibrati e prendere il controllo delle nostre vite, forgiando nuove abitudini digitali e saremo più efficienti e soddisfatti”.
Perché gestire tutti i giorni i 281 miliardi di messaggi di posta elettronica che ci scambiamo (spesso inutilmente) richiede a ciascuno di noi più di 3 ore al giorno, il 23% del totale del tempo che dedichiamo al lavoro. Tanto, troppo. “Organizzare le nostre e-mail, inviarne meno e utilizzare modalità di comunicazione alternative, come gli spazi di co-working, libererebbe quel tempo, ma limiterebbe anche la pratica inefficace di organizzare il lavoro tramite email”, chiosa Capasso.