Larve di corallo e di pesce che si orientano con i suoni unici prodotti dalla barriera corallina, piante di pomodoro che emettono segnali acustici diversi a seconda della loro sete: grazie alla bioacustica e a strumenti tecnologi sempre più raffinati, ora gli scienziati possono ascoltare i suoni della natura. Ma quali sono le implicazioni etiche di una comunicazione interspecie sempre più avanzata? È la domanda centrale che Karen Bakker, studiosa di innovazione digitale e governance ambientale, si pone nel suo libro The Sounds of Life: How Digital Technology is Bringing Us Closer to the Worlds of Animals and Plants, in fase di traduzione e pubblicazione anche in Italia.
Il libro sta avendo un grande successo e, complici i fusi orari, organizzare un incontro con l’autrice canadese è quasi un’impresa, impegnata com’è tra convegni e reading. In attesa di averla ospite a Italian Tech Week il prossimo settembre a Torino, l’intervista si fa online.
Cosa è cambiato nella ricerca scientifica grazie all’ecoacustica e alla bioacustica?
“Eco e bioacustica ci stanno aiutando ad analizzare la salute di specie non umane in maniera molto completa e con costi relativamente bassi. In particolare, ci aiutano a capire meglio l’entità del nostro impatto sulla Natura e a verificare se le nostre strategie di conservazione e aumento della biodiversità sono efficaci. Ancora, nell’ascoltare i suoni della Natura possiamo renderci conto dell’enorme danno dell’inquinamento acustico, che è molto peggiore per i non umani di quanto abbiamo ritenuto fino a oggi. Si tratta di una nuova minaccia, che va affrontata con determinazione al più presto”.
Nel suo lavoro precedente, Water Teachings, ha collaborato con studiosi e membri delle comunità indigene di tutto il Canada. In The Sounds of Life ribadisce che la collaborazione con le comunità native è indispensabile anche per eco e bioacustica. Perché?
“Grazie a loro possiamo mettere insieme ciò che nel mio libro chiamo l’ascolto digitale con l’ascolto profondo. Il primo è il tipo di ascolto sviluppato dagli scienziati ed è una lente potente attraverso cui osservare il mondo non umano, una lente anche pericolosa, perché ci consente di spiare, di origliare quanto accade in natura, ma senza necessariamente prendercene cura. Invece l’ascolto profondo è quello che le comunità indigene hanno sempre messo in atto, una comprensione intima, che li ha resi capaci di sviluppare relazioni con determinate specie non umane e luoghi specifici in modo responsabile. L’ascolto profondo è alla base della consapevolezza che verso quei luoghi e quelle specie c’è un’etica della responsabilità, è la base su cui poggiano le conoscenze tradizionali, un insieme di saperi che, pur non usando le tecnologie, hanno saputo rivelare moltissimo. Naturalmente non dobbiamo “ricolonizzare” le conoscenze indigene, né semplificare culture che sono assai complesse, ma dobbiamo considerarle come un complemento essenziale alle conoscenze scientifiche”.
Ci fa un esempio?
“C’è un approccio chiamato “visione a due occhi”, in pratica con un occhio si usa la lente della scienza e con l’altro quella delle conoscenze indigene, che unite assicurano una comprensione maggiore, ma anche una maggiore empatia con ciò che si osserva”.
Il suo libro racconta di molti casi in cui sia le conoscenze indigene, sia le prime scoperte della bioacustica sono state accolte con scetticismo. Capita anche a lei nelle tante presentazioni?
“No, il materiale su cui si basa il libro è talmente verificato e consolidato che anche i più scettici si devono arrendere all’evidenza che i suoni della Natura sono molteplici. Posizionando microfoni digitali su tutto il Pianeta, dalle profondità dell’oceano, all’Artico e all’Amazzonia, gli scienziati stanno scoprendo i suoni nascosti della natura, molti dei quali si verificano a frequenze ultrasoniche o infrasoniche, al di sopra o al di sotto della gamma uditiva umana. La bioacustica digitale ci aiuta a sentire questi suoni, funzionando come un apparecchio acustico su scala planetaria e di andare oltre i limiti delle nostre capacità sensoriali. Con l’aiuto dell’intelligenza artificiale, i ricercatori stanno ora decodificando le comunicazioni complesse di altre specie. Nel mio testo racconto tutto questo citando oltre 4mila articoli scientifici e il libro è stato a sua volta recensito da Science”.
Qual è il lato oscuro di questo enorme progresso scientifico?
“Queste tecnologie, come tutte le tecnologie in generale, possono essere usate come strumenti a fin di bene, oppure come armi. Potrebbero aumentare la caccia di precisione, o essere usate per addomesticare o manipolare altre specie, e questi sono soltanto alcuni dei rischi molto reali che si corrono senza una riflessione etica a monte. La pesca intensiva o i cacciatori già usano moltissime tecnologie connesse con la bioacustica, perciò non parliamo soltanto di rischi, ma di dati di fatto. La natura è piena di misteri sonori, di cui l’uomo sta solo iniziando a prendere coscienza, e gli scienziati stanno cercando di utilizzare queste scoperte digitali per sviluppare strumenti di comunicazione interspecie con creature diverse come api e balene, sollevando questioni etiche e filosofiche. Abbiamo il diritto di origliare i non umani e di raccogliere dati senza il loro consenso? L’esistenza di una comunicazione complessa negli animali mette in discussione l’affermazione che solo l’uomo possiede il linguaggio? Quali sono i rischi di coinvolgere altre specie in conversazioni mediate dall’intelligenza artificiale, quando siamo a conoscenza dei pregiudizi incorporati nei sistemi di IA? Sono soltanto alcune delle domande che bisogna porsi subito”.
The Sounds of Life contiene esempi di questi temi e di queste tecnologie, oltre a riportare in forma di racconto molte scoperte che sembrano sbalorditive. Ce n’è una che le sta più a cuore, tra quelle di cui ha parlato?
“Sì, la mia preferita è la storia dei coralli, perché trovo notevole che una specie senza un sistema nervoso centrale, senza organi uditivi o di senso in generale possa essere così ricettiva da sentire il suono della barriera corallina e in più distinguere tra un reef in buona salute e uno in stato di deterioramento. Lo trovo davvero incredibile, è davvero la mia storia preferita”.
Quale sarà il suo prossimo libro?
“Parlerà del mio progetto “Smart Earth”, un lavoro su come si possono utilizzare gli strumenti dell’era digitale per risolvere le sfide dell’Antropocene. È un progetto sull’innovazione tecnologica e la governance ambientale, incentrato sull’evoluzione della conservazione in risposta al rilevamento ambientale e alle tecnologie emergenti. Voglio andare oltre la bioacustica, per esplorare se ci sono altri modi in cui le tecnologie digitali ci possono aiutare ad affrontare la crisi climatica, la perdita di biodiversità, l’inquinamento e il problema dei rifiuti. The Sounds of Life si è incentrato su un settore, ma la mia idea è che ci siano molti altri strumenti, in particolare l’intelligenza artificiale usata in modo responsabile, per affrontare una delle crisi peggiori per l’umanità”.
Ritiene ci siano troppe aspettative rispetto all’intelligenza artificiale?
“Di sicuro al momento è un tema molto di moda e le aspettative sono spesso gonfiate, ma senza dubbio non possiamo ignorare i rischi e i vantaggi di questa tecnologia. ChatGPT è un buon esempio, potrebbe portare alla disinformazione, avallare pregiudizi e come ogni altra tecnologia può essere mal utilizzata, ma una delle cose che fa benissimo è il pattern recognition, cioè l’analisi e l’identificazione di modelli all’interno di dati grezzi, importantissime nei dati audio e video. Il pattern recognition è uno strumento fondamentale per la conservazione ambientale, per questo ritengo l’IA una grande opportunità”.
Qual è la consapevolezza maggiore che le ha lasciato il lavoro fatto per The Sounds Of Life?
“La convinzione radicata che con grande probabilità ogni specie vivente, ogni organismo nella Natura è sensibile ai suoni. Questo significa che dobbiamo ripensare completamente il modo in cui stiamo considerando l’inquinamento acustico. Si tratta di un pericolo enorme per gli esseri umani come per l’ambiente, una delle peggiori minacce per la salute globale”.