Laurea in Ingegneria climatica, dottorato in energetica, la nuova eurodeputata per la Circoscrizione Nord Est (con 48.075 voti) Annalisa Corrado dei cambiamenti climatici si è occupata da quando era una studentessa a La Sapienza e oggi non ha dubbi: “Bisogna rimettere al centro il benessere delle persone e dell’ecosistema che sappia rilanciare l’economia e l’industria con un modello di sviluppo sostenibile, ispirato ai principi dell’agenda 2030”.
Si definisce ecologista e femminista, ma Annalisa Corrado, 51 anni, è anche un’attivista climatica. Ha confidato che da piccola voleva fare la benzinaia, “soldi e petrolio che poi è proprio quello che non ho cercato nella mia vita”. Con Alessandro Gassman ha creato la serie #GreenHeroes. La sua eroina è la nonna Vanna partigiana: “Una donna con un piglio pazzesco, incredibile che non rimaneva indifferente di fronte alle ingiustizie”.
Da aprile 2023, è in segreteria del Partito Democratico con Elly Schlein Segretaria, con deleghe alla Conversione ecologica, Clima, Green economy e Agenda 2030.
Scampato il rischio di un governo di Marine Le Pen in Francia, a Bruxelles il fronte della destra, più numeroso rispetto alla passata legislatura, considera gli ambientalisti un nemico. In questa situazione cosa ci aspetta sul fronte delle politiche green? Ci sarà un rallentamento temporaneo o qualcosa di più strutturale?
“La spallata che le destre auspicavano, però, in Europa non è arrivata e questa è una notizia importantissima per chi, come noi, ha intenzione di pretendere che l’ambizione iniziale del Green Deal venga ripresa in pieno e resa ancora più efficace, anche attraverso una forte connotazione sociale che consenta di supportare chi è stato lasciato indietro dal fallimento dell’attuale modello di sviluppo. Purtroppo, anche in Italia assistiamo a questa folle polarizzazione di un tema che dovrebbe essere totalmente trasversale, e invece è diventato oggetto di scontro “ideologico”. E’ allarmante, visto che negare la gravità della situazione non risolverà i problemi che stiamo attraversando: dalle bollette impazzite, alla crisi industriale ed economica, al lavoro povero, all’insalubrità dei nostri territori e delle nostre città, fino agli eventi estremi che colpiscono incessantemente il nostro Paese. Per questo non possiamo permetterci alcun rallentamento”.
C’è il rischio che possa crearsi una strategia politica per far tornare ai singoli Stati i poteri sui temi ambientali? E forse non solo su quelli.
“É quello che vogliono le destre, un’Europa priva degli strumenti necessari per incidere realmente su condizioni comuni per tutti gli Stati Membri, dai diritti ambientali fino a quelli civili e sociali, passando per la politica estera. Lo scenario sarebbe devastante, a maggior ragione per noi italiani, se si pensa che nel frattempo il Governo Meloni sta spaccando in due il Paese con l’autonomia differenziata; non a caso le principali associazioni ambientaliste italiane si sono schierate contro questo progetto dissennato. Per nostra fortuna in Europa, come dimostra ulteriormente il balletto delle destre nella composizione dei gruppi al Parlamento Europeo, la somma dei sovranismi, specie quando conditi da anti-europeismo di fondo, è totalmente inefficace nell’azione collettiva. Lavoreremo alacremente per respingere queste pulsioni anti storiche, che ci porterebbero indietro di 50 anni nella tutela dell’ecosistema”.
Gli attivisti europei si devono preparare a sostenere l’attività del Parlamento europeo? E i movimenti dal basso funzionano ancora?
“Assolutamente si. Siamo in un momento storico delicatissimo, ad un bivio pericoloso tra guerra e pace, tra corsa agli armamenti e green deal che disinnesca le tensioni geopolitiche per le risorse, tra resa alle ingiustizie e diseguaglianze imperati e mantenimento della prospettiva dell’agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. Il ruolo delle e degli attivisti è preziosissimo. Siamo tutte e tutti convocati per difendere il sogno di un’Europa inclusiva, solidale, sostenibile, competitiva, in grado di giocare un ruolo strategico di primo piano tanto nella leadership per la decarbonizzazione dell’economia, quanto sui tavoli della diplomazia internazionale”.
A proposito di attivismo. Come si è passati alle piazze europee (pensiamo a Roma e Parigi) piene di giovani sui temi climatici ad un consenso che si è ristretto per il fronte ambientalista in Europa?
“I fattori sono molti. Innanzitutto abbiamo attraversato un trauma collettivo come quello la pandemia di COVID19, che ha indebolito un movimento che aveva come chiave strutturale e moltiplicativa la partecipazione fisica ad eventi di piazza. Le crisi energetica e bellica, con l’invasione russa dell’Ucraina, meno di due anni dopo, ha segnato un altro duro colpo alla disponibilità dell’opinione pubblica di lasciarsi permeare dai temi che vengono fatti passare come “accessori” invece che strategici. E’ del tutto evidente, tra l’altro, quanto entrambe queste crisi abbiano radici facilmente ascrivibili alla crisi del nostro modello di sviluppo e a quella dell’ecosistema. Ma le forze conservatrici, sono riuscite a far fare passi indietro ad una discussione che sembrava ormai patrimonio comune. Il consenso ristretto a mio avviso dipende in larga parte dall’interruzione del rapporto di fiducia tra persone e politica, che ha perso troppe occasioni per essere credibile e realmente trasformativa e per presidiare il disagio e il dissenso in maniera costruttiva. In particolare i giovani che vogliono “prendere parte”, tanto nel chiedere risposte sulle questioni climatiche o il cessate il fuoco per fermare il massacro in corso in Palestina non vengono ascoltati ma addirittura criminalizzati: non è certo questa la strada giusta. In questo panorama ci sono, comunque, anche segnali incoraggianti rispetto alla possibilità di ricucire questo strappo: è un trend che, con determinazione e pazienza, è possibile cambiare di segno e molti dei recenti risultati elettorali lo dimostrano”.
Per fermare questo scenario occorre però presentare una visione alternativa. Concreta e ottimista. Quale può essere il progetto che può accelerare la transizione ecologica invece che tornare indietro?
“La sfida della transizione ecologica, o, meglio ancora, della conversione ecologica (espressione che restituisce un’idea più profonda e sistemica del processo), si affermerà quando sapremo declinarne il potenziale trasformativo e positivo per le persone, per le amministrazioni locali, per le aziende, presentando soluzioni ai problemi concreti piuttosto che un impianto teorico a cui doversi attenere per motivi che appaiono troppo lontani e impossibili da raggiungere. Da questo punto di vista la sfida delle città è cruciale: i luoghi più difficili da trasformare eppure più capaci di dimostrare concretamente quanto i principi dell’ecologismo possano far fare un salto di qualità alla vita delle persone. Le città che si ripensano attorno agli assi della sostenibilità ambientale e sociale riprogettando gli spazi, la mobilità, l’accessibilità, i servizi; quelle che riprogettano le proprie infrastrutture facendo spazio a trasporti sostenibili, verde urbano, autoconsumo collettivo, gestione partecipata dei beni comuni; quelle che via via mostrano quanto si possa passare da somma di individualismi a comunità inclusiva ed educante tracciano la strada. Vivere le conseguenze della sostenibilità ambientale, scoprire che è possibile e che migliora la vita è la strada maestra”.
Lei ha creato con Alessandro Gassmann il progetto #GreenHeroes con le storie raccolte anche in un libro. C’è l’intenzione di trovare campioni della sostenibilità anche in Europa?
“Il progetto dei GreenHeroes ha avuto una genesi molto vicina a quel che dicevamo poco fa: mostrare che la trasformazione è già possibile, che ci sono economie generative e non predatorie che creano ricchezza condivisa, posti di lavoro, fatturati importanti. Per Alessandro Gassmann e per me è sempre stato chiaro: sapere che qualcosa non solo è auspicabile ma è anche possibile e bello è la prima leva per poi poter pretendere scelte ad ogni livello. Anche politico. Il progetto è in continua evoluzione, qualcosa già bolle in pentola ma, anche questa di allargare il confine del racconto potrebbe essere un’idea!”