Si chiama Orchomenella rinamontiae e raggiunge la dimensione massima di 24 millimetri, ma promette di fornirci le risposte che cerchiamo a domande sempre più urgenti: come reagiranno le specie antartiche ai cambiamenti climatici in atto, riscaldamento globale in primis? Lui è un crostaceo mai visto prima: un gamberetto appartenente all’ordine degli anfipodi e appena scoperto in Antartide da un gruppo internazionale di ricercatori coordinato dall’Università degli Studi di Trieste.
Lo hanno individuato, nel corso della 33esima spedizione antartica italiana nella Baia di Terra Nova, in prossimità della Stazione Antartica Italiana “Mario Zucchelli”. Parte del merito è di Piero Giulianini, zoologo e professore presso il dipartimento di scienze della vita dell’Università degli studi di Trieste. “Stavamo studiando le risposte di un’altra specie di gamberetto antartico al riscaldamento dei mari quando dalle analisi morfologiche e generiche abbiamo compreso che alcuni dei campioni appartenevano a una specie mai descritta prima”, spiega Giulianini.
Nel dettaglio, i ricercatori – che hanno condiviso la scoperta con un articolo sul Zoologic Journal si sono avvalsi di una tecnica innovativa e avanzata di imaging, la microtomografia a raggi X, eseguita al Sincrotrone Elettra di Trieste, che ha permesso di ottenere immagini tridimensionali ad alta risoluzione della nuova specie: una sorta di ritratto dettagliato del singolo individuo, esaminato digitalmente senza introdurre artefatti e distorsioni dovuti alla manipolazione. Il risultato? Sorprendente, per certi versi. Si tratta – come verificato anche con il contributo di due esperti nel campo della classificazione dei gamberetti antartici, Claude de Broyer del Royal Belgian Institute of Natural Sciences e Ed Hendrycks del Canadian Museum of Nature – di una specie che appartiene a un gruppo dominante ed endemico nelle acque antartiche: “Sono gamberetti spazzini (in gergo, li si definisce scavenger, ndr) che svolgono un ruolo chiave nelle comunità marine, consumando e disperdendo cibo di tutte le dimensioni. – continua Giulianini – Come una cartina al tornasole, il monitoraggio dell’abbondanza e della diversità di questi gamberetti permetterà di capire gli impatti antropici in atto su questi delicati ecosistemi: l’impatto causato dall’uomo sull’ambiente, infatti, influisce negativamente sulle comunità marine, ostacolandone diversità e complessità. Non solo, nei nostri laboratori condurremo analisi per studiare come la nuova specie individuata risponda al riscaldamento degli oceani”.
Del resto, comprendere la vita e la biodiversità marina nelle regioni più remote e inospitali del pianeta aiuta a capire la portata di alcuni cambiamenti globali: ecco perché anche l’ultimo arrivato – o meglio, l’ultimo scoperto – può aiutare i ricercatori: poco si sa, finora, di Orchomenella rinamontiae (il nome omaggia la zoologa Rina Monti, che nel 1907 fu la prima donna a ottenere una cattedra all’università di Sassari).
Vivrebbe a pochi metri di profondità, dove è stato prelevato, ma i ricercatori non escludono che proliferi fino anche ai trecento metri: il resto è da approfondire. E intanto la sua scoperta arricchisce il catalogo delle specie marine antartiche, confermando che molto di ignoto c’è ancora, a queste latitudini e non solo.
“Nessuno sa con certezza quante specie animali sono ancora da scoprire sul nostro pianeta. – conclude Giulianini – Quel che possiamo dire è che le specie da scoprire sono di più di quelle già descritte e ovviamente vivono in luoghi spesso difficili da raggiungere, proprio come le profondità oceaniche e le regioni polari. Le stime parlano di più di 8 milioni di specie: ne abbiamo descritte poco più di 1.4 milioni. C’è ancora tanto da lavorare e da scoprire”.
Ogni nuovo tassello, a quanto pare, consente alla scienza di avere risposte importanti sul futuro. Come nel caso del Paredelone turqueti, l’ormai celebre polpo Turquet, che vive fino a 4000 metri di profondità e l’esame del cui DNA ha di recente suggerito ai ricercatori che con il perdurare degli effetti legati climate change l’enorme calotta glaciale dell’Antartide occidentale potrebbe collassare.