Spinti dalle raccomandazioni della scienza, che ci dice come le emissioni dovute dai combustibili fossili siano le più pericolose per il riscaldamento del Pianeta, da diversi mesi gli attivisti del clima stanno prendendo di mira sempre più multinazionali dell’oil and gas. Dopo la grande protesta per fermare l’espansione di una miniera a carbone a Lutzerath, in Germania, dove la polizia ha fermato anche Greta Thunberg, ora l’attenzione dell’attivismo più radicale si sta spostando verso le multinazionali del petrolio: lo scopo è di chiedere loro di smettere di inquinare e di pagare il conto, tassando i loro extraprofitti ad esempio, per quanto fatto finora negativamente alla salute della Terra.

 

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L’ultima azione è stata messa in atto da Greenpeace per fermare l’espansione della multinazionale del petrolio Shell impegnata a sbloccare otto nuovi pozzi di petrolio e gas nel giacimento Penguins North Sea.

I “climbers” salgono sulla nave per protestare

Una settimana fa quattro attivisti di Greenpeace International provenienti da tutto il mondo sono saliti a bordo, nel cuore dell’Atlantico, della nave White Marlin che sta trasportando una piattaforma di stoccaggio e scarico di Shell verso il nord-est delle isole Shetland in Scozia, una struttura che permetterà alla multinazionale di espandere le sue estrazioni sino a produrre 45.000 barili di petrolio o gas equivalente al giorno.

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Carlos Marcelo Bariggi Amara dall’Argentina, Yakup Çetinkaya dalla Turchia, Imogen Michel dal Regno Unito e Usnea Granger dagli Stati Uniti sono i primi quattro climbers che, dopo un avvicinamento grazie ai gommoni, hanno “scalato” la nave di 118 metri per poi occuparla pacificamente con azioni non violente, mostrando cartelli con scritte che chiedono appunto a Shell di pagare il conto. Gli attivisti sono ancora oggi sulla nave, raggiunti da altri due colleghi: hanno scorte di cibo e acqua per resistere ancora qualche giorno e continuare l’azione di protesta.

“Le compagnie oil&gas non pagano i danni al pianeta”

L’intera azione si è svolta a poche ore dall’annuncio della compagnia petrolifera Shell dei suoi profitti annuali da record, quasi 40 miliardi di dollari nel 2022, più del doppio di quanto registrato nel 2021. Notizia che – secondo Greenpeace – dimostra ancor di più come sia ormai arrivato il tempo di “smetterla di perforare e iniziare a pagare” per i danni inflitti al Pianeta, recita uno striscione esposto dagli attivisti contrariati alla “devastazione climatica in tutto il mondo causata dalla Shell, la più ampia industria dei combustibili fossili”.

Greenpeace occupa una piattaforma Shell nell’Atlantico

La Shell, sostiene Greenpeace, ha risposto all’azione con tentativi di ingiunzione o cause legali ma per ora l’azione dell’associazione ambientalista continua.

Shell: “Petrolio ancora necessario per la transizione”

Sempre i vertici del gigante petrolifero, ha ricordato la Cnn, attualmente affermano che la produzione di petrolio e gas nel Mare del Nord “sta diminuendo” ma che è ancora necessaria per permettere la transizione verso l’energia a basse emissioni di carbonio.

Nel frattempo nelle acque agitate dell’Atlantico lo scorso weekend un trimarano chiamato Merida, affiancato da due gommoni, è partito con a bordo altri attivisti e giornalisti in direzione della White Marlin. Una volta raggiunta la grande nave un’altra imbarcazione, di proprietà di Boskalis (società con cui ha accordi la Shell) si è posta di “scorta” al trasporto della piattaforma mettendo in difficoltà (per via delle onde) l’azione di altri attivisti che volevano raggiungere la White Marlin. Alla fine, due climbers – Pascal Havez dalla Francia e Silja Zimmermann dalla Germania – sono comunque riusciti a salire sulla nave ed unirsi al gruppo di protesta.

L’attivista: “Basta fossili. Non ci fermeremo finché non otterremo risposte”

Dalla Merida – che ha solo affiancato la grande nave – è invece andata in scena l’azione di altri giovani, come Nonhle Mbuthuma dal Sudafrica, Hussein Ali Ghandour dal Libano e Noa Helffer dall’Italia, che hanno mostrato i cartelli  “Basta Trivellare. Iniziate a pagare” e “Pianeta in fiamme. Basta fossili” rivolti alla Shell.

Contattata telefonicamente e di ritorno dall’azione in alto mare, Noa Helffer, attivista ventenne di Acireale e del gruppo di Greenpeace Italia, racconta a Green&Blue quanto accaduto e il perché della protesta. “Dopo un lungo viaggio, quando abbiamo avvistato la piattaforma trasportata dalla nave è iniziata la nostra azione: da una parte altri climbers che sono saliti sulla White Marlin, dall’altra noi sulla nave Merida con i cartelli. La particolarità di questa azione è la partecipazione di attivisti da tutto il mondo perché il messaggio è globale: le multinazionali dei combustibili fossili devono assumersi la responsabilità per aver contribuito ad alimentare la crisi climatica, smetterla di trivellare e pagare per i danni ambientali che stanno causando“.

“Questa protesta riguarda tutto il Pianeta – aggiunge Heffler  – perché le emissioni causate dalle industrie del fossile impattano ovunque. I colleghi che provengono da altre zone del mondo più sfortunate lo sanno bene, avendo visto i devastanti impatti della crisi climatica. Io stessa, che vivo in Sicilia, ho sperimentato la potenza delle alluvioni e dell’acqua alle ginocchia, o le ondate di calore e la siccità. Si tratta di qualcosa che riguarda tutti, ecco perché stiamo intensificando le azioni contro queste compagnie e perché chiediamo il sostegno di tutti coloro che tengono a cuore la salute del Pianeta”.

La protesta di Greenpeace continuerà e “non si sa cosa succederà quando la nave fra qualche giorno arriverà a destinazione, per ora è una situazione imprevedibile – chiosa l’attivista italiana -. Noi però non intendiamo fermarci finché non otterremo risposte: è ormai evidente come la dipendenza dalle fonti fossili non sia più sostenibile e come sia necessario, al contrario, puntare sulle rinnovabili. Con ogni mezzo, tutti i vari gruppi ambientalisti del mondo continueranno quindi quest’anno a protestare e portare il messaggio: c’è in gioco il nostro futuro, serve un cambio di rotta immediato”.