I leoni marini stanno aiutando gli scienziati australiani a scoprire il più grande ecosistema del pianeta, i fondali oceanici. Per la maggior parte, ancora sconosciuti. Gli scienziati dell’Università di Adelaide e del South Australian Research and Development Institute hanno sperimentato una curiosa soluzione per conoscere questi habitat così remoti che ha dati risultati sorprendenti: hanno applicato per tre giorni piccole telecamere su 8 leoni marini australiani, una specie in via di estinzione, scientificamente noti come Neophoca cinerea. Ma quello che è nato in via sperimentale potrebbe diventare un nuovo metodo di analisi? Sembra proprio di sì, visto che i risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Frontiers in Marine Science e la qualità delle immagini inviate dalle profondità dell’oceano ha sorpreso gli stessi scienziati. In totale, sono state analizzate 89 ore di registrazione, che hanno permesso l’identificazione di sei habitat: dalla barriera corallina di macroalghe, fino al masso di invertebrati. Non solo. Le informazioni raccolte hanno permesso di creare modelli di ricerca che consentiranno in futuro di studiare grandi aree di habitat nella piattaforma continentale dell’Australia meridionale, incorporando fattori oceanografici e ambientali. Ambienti e forme di vita ancora sconosciute, ma che potrebbero influenzare la struttura e la distribuzione degli ambienti sottomarini. Fondamentali per il futuro del pianeta.
La ricerca
Tutto è nato mentre era in corso una ricerca, sempre in Australia, sui veicoli sottomarini con comando a distanza in grado di esplorare le aree più profonde. Uno spazio in cui le condizioni sono estreme, la vita è al buio, con temperature basse e pressioni elevate e proprio per questo richiede notevoli risorse economiche. Da qui l’idea di utilizzare otto femmine adulte di leoni marini per trasportare delle telecamere. Le immagini dei video inviate in superficie dal fondale dell’oceano hanno permesso al gruppo di ricerca di identificare habitat precedentemente non classificati. Dunque, non si esclude che in seguito questo metodo possa essere riutilizzato.
“I dati video e di movimento trasmessi da un predatore – ha spiegato il professor Nathan Angelakis che ha coordinato il team di ricercatori – possono essere estremamente utili per la mappatura di habitat nelle vaste aree del fondale marino. Non solo. Queste informazioni possono aiutarci a monitorare habitat cruciali per le specie in via di estinzione”.
“Possiamo realizzare mappe più complete dei fondali”
Telecamere e strumenti di tracciamento sono stati incollati a piccoli pezzi di neoprene e successivamente applicati alla pelliccia degli animali. In totale, l’attrezzatura pesava meno dell’un per cento degli esemplari, in modo da non disturbare i leoni marini, che hanno indossato i dispositivi per tre giorni. “Abbiamo scelto le femmine – spiega Angelakis – per poter recuperare l’attrezzatura quando sarebbero tornate ad accudire i cuccioli lasciati sulla terraferma. Abbiamo utilizzato dei logger GPS collegati via satellite sui leoni marini, il che ci ha permesso di tracciare la loro posizione in tempo reale e sapere quando avvicinarci alla colonia”.
“I leoni marini – continua Angelakis – coprivano aree piuttosto ampie attorno ai punti di raccolto. Abbiamo modellato gli habitat bentonici su oltre cinquemila chilometri quadrati della piattaforma continentale. I risultati contribuiscono a migliorare notevolmente la nostra conoscenza dei fondali marini e apre la strada a un nuovo metodo per l’analisi degli habitat sottomarini”. “Valutare le aree marine dalla prospettiva di un predatore – conclude -diversamente da un approccio di tipo antropocentrico più tradizionale, può migliorare la nostra comprensione degli ambienti e aiutarci a realizzare mappe più complete dei fondali marini”.