A un’ora da Vienna, un gruppo di scalatori si arrampica su una parete rocciosa, lungo una via battezzata “Fortezza Europa” (Europa Festung). Doppio riferimento ai contemporanei blocchi alle frontiere, di fronte alle periodiche crisi internazionali e ai conseguenti flussi di migranti, e alla definizione che la propaganda nazista aveva dato all’Europa Continentale durante la seconda guerra mondiale. Un nome che fa rabbrividire ma che nessuno – in Austria come quasi ovunque nel mondo – avrebbe potuto stroncare o bandire sul nascere. Secondo antica tradizione, infatti, nell’alpinismo e nel trekking estremo, chiunque conquisti una vetta o apra una nuova via ha il diritto di battezzarla – a se stesso o a qualunque altro soggetto desideri -. E al giorno d’oggi, in un niente, il nome si espande attraverso i forum a tema nel web e le successive mappe e guide. Una procedura del tutto informale, senza alcuna certificazione da parte di un organismo ufficiale o affissioni di targhe o altro.
Ora, in uno sport storicamente dominato dai bianchi di sesso maschile, storicamente accade che ci siano nomi che riflettono punti di vista “razzisti, sessisti e misogini”, spiega all’agenzia di stampa France Presse Martin Achrainer, che dirige l’archivio del Club alpino austriaco. “Esistono da molto tempo, ma solo da poco c’è stata una presa di coscienza collettiva sulle possibili controindicazioni”. E se per ora il dibattito è circoscritto a un numero limitato di persone facenti parte di un gruppo – gli alpinisti – che di per sé rappresenta una nicchia, non è difficile immaginare che, nella stagione del Me Too e del Black lives matter, del politically correct e dell’abbattimento delle statue di illustri personalità del passato, che retrocedono dal rango di grandi della storia a quello di becere icone del colonialismo, il tema verrà alla luce sempre più spesso.
Anche perché trattasi di consuetudine tutt’altro che confinata nel passato. Lo racconta Daniel Kufner, alpinista-attivista 42enne, che è salito su “Fortezza Europa”, che sovrasta la verdeggiante riserva naturale di Hohe Wand, non distante da Wiener Neustadt, nella Bassa Austria, allo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica del suo Paese sul problema. Kufner si augura che i nomi controversi vengano ritirati sotto l’impulso della “pressione sociale”. Il suo timore è quello che l’uso di certi termini ed espressioni finisca per “banalizzare e sdoganarare certi ideali dell’estrema destra”. Altre vie sulle montagne austriache sono state battezzate “Asilo economico” o, grossomodo, “Involucro per asilo”
Nel Paese oltreconfine un personaggio è al centro delle critiche: Thomas Behm, alpinista di alto livello e fama, che ha scoperto nuove vie e pubblicato diverse guide. A lui si deve ad esempio la via “Greta Dummberg”, dove il gioco di parole, ovviamente sulla giovane paladina dello sviluppo sostenibile Thunberg, sostituisce la prima parte del cognome con la parola “Dumm”, che in tedesco signfica stupido. Alcuni storici contemporanei hanno censito tra i nomi recenti citazioni del passato nazista come Kristalltag, “giorno di cristallo”, in riferimento alla Notte dei Cristalli, la tragica notte dei pogrom antisemiti del 1938. Behm, interpellato da Afp ha detto di non avere “nulla da aggiungere”, rispetto a quanto aveva detto nel 2021, quando, a mezzo stampa, aveva a modo suo fustigato certi “contromovimenti isteriic”, difendendo i suoi nomi “che ironizzano sul cambiamento climatico e i suoi protagonisti o si fanno delle domande sul politicamente corretto a oltranza”. Ma, di fronte alla polemica montante, ha preferito ribattezzare molte delle vie cui aveva dato il nome. Oggi il Club alpino austriaco non vende più le sue guide. A Vienna, in una delle non molte librerie dove sono ancora disponibili, un’etichetta di accompagnamento mette in guardia i possibili acquirenti rispetto alle controversie.
Ma il problema non è circoscritto all’Austria. Nelle vicinanze di Stoccolma, si trovano itinerari chiamati “Un piccolo Hitler”, “Terzo Reich” o addirittura “Zykon” (Zyklon-B era uno dei gas utilizzati nei campi di sterminio). “Numerosi scalatori comprendono le critiche, ma, nello stesso tempo, pensano di non aver diritto di censurare o di contravvenire una vecchia tradizione dell’alpinismo (quella appunto che dà allo scopritore di una via il diritto di darle il nome, n. d. r.)”, spiega a France Presse Andreas Andersson, responsabile della locale federazione di alpinismo.
Negli Usa, il gruppo californiano “Climb The Gap”, che mira a incoraggiare gli afroamericani a praticare l’alpinismo, ha recensito centinaia di nomi “problematici”, molti dei quali sviliscono o minimizzano la tratta degli schiavi. L’iniziativa è nata nel 2020, sotto la spinta del Black Lives Matter. “Se alcuni fanno resistenza, molti hanno preso coscienza dell’inappropriatezza di certi nomi”, si felicita la fondatrice dell’associazione, Jaylene Benggon Chung.
Interpellati sulla via della parete della regione di Wiener Neustadt, gli escursionisti-alpinisti hanno opinioni difformi. “Il primo arrampicatore ha il diritto di scegliere il nome”, è convinta Alice Nadherova, 32enne praghese che non vorrebbe alterare lo status quo. “I nomi che causano controversia dovrebbero poter essere sostituiti”, dice invece Balazs Erdelyi, 40enne ungherese di Budapest. Nel frattempo, alcuni militanti cercano di farsi vedere e ascoltare: nel 2021, una targa è stata posta all’ingresso della via in memoria di “tutti coloro che sono morti a causa di Europa Festung”.