L’Europa è indietro, l’Italia ancora di più. Perché gli investimenti delle case automobilistiche per la produzione di veicoli elettrici, di batterie e per la realizzazione dell’infrastruttura di ricarica premiano sempre più il Nord America. E sembra così profilarsi, sempre più, lo spauracchio di una grande occasione mancata per le nostre economie. Anche perché gli investimenti sull’elettrico sono in crescita costante: di 5 volte tra il 2021 e il 2023. Come a dire: l’industria dell’automotive non ha (più) dubbi nel proseguire spedita verso questa direzione. Arriva dal nuovo rapporto dell’organizzazione ambientalista indipendente europea Transport & Environment (T&E), presentato in anteprima al Festival di Green&Blue, un quadro limpido, con non poche ombre, sugli scenari che riguardano la e-mobility. Una fotografia che evidenzia i ritardi del nostro Paese, ultimo tra le grandi economie Ue. Senza contare che i pochi investimenti sin qui annunciati potrebbero essere a rischio, in base alle ultime dichiarazioni di ACC (la joint venture tra Stellantis, Mercedes e TotalEnergies) sui rallentamenti che riguarderanno il progetto della gigafactory di Termoli.

In Europa solo un quarto degli investimenti globali

Il report ha monitorato il flusso dei capitali analizzando tutti gli annunci pubblici di investimento, tra il 2021 e il 2023, delle 19 principali case automobilistiche, a livello globale (includendo produttori europei, americani, cinesi, giapponesi, sudcoreani), in produzione di veicoli elettrici, batterie, infrastrutture di ricarica. Certificando come l’Europa si sia assicurata solo poco più di un quarto (26%) degli investimenti globali, mentre la fetta più consistente (più di un terzo, il 37%) è stata destinata a Stati Uniti, Canada e Messico. E questo malgrado il Nord America sia una regione con volumi di produzione minori rispetto a quelli europei. Sotto la lente d’ingrandimento, secondo T&E, la debolezza degli obiettivi di elettrificazione dell’UE e la contestuale attrazione esercitata dalle politiche di sussidio statunitensi. Di qui la necessità che l’Europa contrasti la tendenza ponendo fine all’incertezza sull’obiettivo di emissioni zero per le autovetture fissato per il 2035, e adotti una forte politica industriale per costruire la sua catena di approvvigionamento per la mobilità elettrica.

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“Siamo gli ultimi a finanziare ancora l’acquisto delle auto endotermiche”

Ma qualcosa si muove, anche in Italia. “Pochi giorni fa i nuovi incentivi per l’auto elettrica sono andati esauriti nell’arco di 10 ore. – dice Andrea Boraschi, che dirige l’ufficio italiano di Transport & Environment – A esser cauti, vuol dire almeno 26 mila veicoli a zero emissioni venduti in un batter di ciglia. Si possono fare molte valutazioni al riguardo, e andranno fatte, ma un dato emerge: la rappresentazione degli automobilisti italiani come di un sol popolo avverso alla mobilità elettrica, veicolata da molti attori della politica così come dell’informazione, è fuorviante e largamente falsa. In Italia c’è spazio per un mercato delle BEV all’altezza degli altri mercati europei. La politica dovrebbe prenderne atto una volta per tutte, dismettere ogni politica stop and go, ogni incoerenza al riguardo – siamo l’ultimo Paese in Europa a finanziare ancora l’acquisto delle endotermiche – e fare politiche di medio lungo termine per decarbonizzare il settore più emissivo, quello del trasporto stradale. Questo è necessario anche ragionando in termini di sviluppo industriale del Paese. Stiamo rimanendo ai margini di un enorme flusso di investimenti, che potrebbero garantire gli attuali posti di lavoro e crearne di nuovi. Penso alla nascente industria del riciclo delle batterie, una partita ancora tutta da giocare, ma per la quale il momento per scendere in campo, per poter essere competitivi, è ora”.

Tutti (o quasi) scelgono gli Usa

Secondo il rapporto di T&E, l’Europa è oggi una destinazione molto meno attraente, per le case auto extraeuropee, rispetto al Nord America. Nei paesi oltre l’Atlantico, quasi due terzi (65%) degli investimenti in veicoli elettrici, tra il 2021 e il 2023, provengono da industrie straniere, attratte soprattutto dalle sovvenzioni previste dall’Inflation Reduction Act. L’Europa vive una situazione opposta: l’80% dei finanziamenti destinati all’elettrificazione del trasporto su strada viene dall’automotive europeo. Il caso paradossalmente più emblematico riguarda, come accennato, Stellantis, la seconda casa automobilistica europea. Che ha diretto il 74% dei suoi investimenti Nord America e ha impegnato solo il 10% nella propria regione. I pochi investimenti pianificati per l’Italia riguardano peraltro la gigafactory che ACC, di cui Stellantis detiene il 45%, dovrebbe realizzare a Termoli.


Ancora: in generale per lo sviluppo dell’industria e delle infrastrutture per la mobilità elettrica i player dell’automotive globale hanno destinato all’Europa 42 miliardi di euro di investimenti, rispetto ai 9 miliardi di euro della Cina (dove però il grado di sviluppo di questa industria è già ben maggiore) e ai 58 miliardi di euro del Nord America. E se il tasso di crescita degli investimenti in Europa, nel 2023, è diminuito rispetto al 2022 è probabilmente anche a causa del fatto che le case automobilistiche non hanno target di riduzione delle emissioni tra il 2025 e il 2030. Un paradosso su tutti: l’Italia, importante polo produttivo per Stellantis, è riuscita ad attrarre solo 1,3 miliardi di euro. “La normativa – spiega Boraschi – ha sempre guidato e sostenuto gli investimenti nella mobilità pulita. Ora l’Europa sta rimanendo indietro a causa di un’assenza di target di riduzione delle emissioni di CO2 tra il 2025 e il 2030. Per ribaltare questa situazione, e garantire crescita industriale e posti di lavoro, il primo passo è quello di porre fine a ogni incertezza sull’obiettivo dell’UE di auto a emissioni zero per il 2035″. Per non perdere il treno dell’e-mobility occorre una strategia industriale più forte e un fondo per la transizione robusto, capace di attrarre un maggior numero di investitori. In caso contrario, l’Italia resterà ai margini, come sta facendo. “Mettendo a rischio decine di migliaia di posti di lavoro e un’industria che vale oltre il 5% del nostro Pil”, conclude Boraschi.