Con il ritorno del turismo di massa, i cui numeri in Europa sono destinati a raggiungere o sorpassare i livelli pre-pandemia, una delle problematiche tornate prepotentemente alla ribalta è quella della difficile conciliazione delle esigenze di turisti e fedeli nelle grandi chiese monumentali.

A Barcellona, nella Sagrada Familia, l’iconica chiesa siglata da Antoni Gaudí, può capitare di imbattersi in una messa che ha tutte le caratteristiche di un normale servizio religioso di quartiere, dalle preghiere per i congiunti malati e deceduti agli auguri per gli onomastici dei presenti. Se non fosse per i controlli di sicurezza all’ingresso e per la massa di turisti che fotografa i fedeli dall’esterno. La messa si tiene nella cripta del capolavoro modernista creato dal genio catalano, che è uno dei monumenti più visitati del Vecchio Continente (4,7 milioni di visitatori nel 2019), e che, con il ritorno dei flussi pre-2020 fatica ad ospitare nella maniera consona alle rispettive esigenze i vacanzieri e chi entra per pregare.

“Stiamo lavorando per venire a capo del problema, prima che la situazione collassi  – racconta all’agenzia di stampa Associated Press il reverendo Josep Maria Turull, rettore della chiesa e direttore del settore turismo, pellegrinaggio e santuari dell’arcidiocesi della metropoli catalana.

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L’idea di servire messa nella cripta è in linea con quanto accade in altri luoghi di culto monumentali del Sud Europa, quella di separare per quanto possibile luoghi di accesso, di passaggio e di permanenza di turisti e fedeli. Accade anche a San Pietro dove, da questa primavera, il Vaticano ha aperto un passaggio separato, che comincia dall’esterno della Basilica, per chi entri per assistere alla Messa, senza dover essere costretti alla fila dei turisti – che può anche durare ore visti i 55 mila ingressi al giorno – e scoraggiare qualcuno.

Ma la sfida rimane: bilanciare i due ruoli – quasi antitetici – dei monumenti religiosi, senza sacrificare la loro essenza di luoghi di culto. “Un’impresa particolarmente difficile – spiega Daniel Olsen, un professore della Brigham Youth University (Utah, Usa), che studia il turismo religioso –, perché il desiderio sarebbe quello di fare vivere ai turisti l’esperienza religiosa dei fedeli”. 

Con 330 milioni di persone che visitano ogni anno i luoghi di culto, il turismo dei monumenti sacri è uno dei mercati più vasti dell’industria dell’ospitalità. In chiese che tendono ad avere un calendario di servizi religiosi più fitto rispetto alle parrocchie “normali”, cresce anche la frequenza di fedeli. I quali ovviamente devono avere accesso libero, al contrario dei turisti, che in molti casi pagano il biglietto, spesso indispensabile fonte per la salvaguardia del sito.

“Il tempio deve rimanere un luogo deputato ai servizi religiosi, non un parco a tema”, dice Joan Albaiges, dopo aver preso Messa nella Sagrada Familia, come fa regolarmente da 60 anni.  Albaiges ha apprezzato l’iniziativa adottata negli anni recenti di celebrare una messa multilingue, la domenica, nell’altare principale della svettante e colorata basilica. Senonché la domanda per gli 800 biglietti a costo zero è talmente elevata, che ogni domenica centinaia di persone non riescano ad entrare dopo aver fatto la coda – ammette lo stesso reverendo Turull.

I leader laici e religiosi sono convinti che le storie dei siti sacri dovrebbero essere raccontate a tutti gli ospiti, la cui familiarità con le tradizioni di fede decresce, in Paesi dove la rapida secolarizzazione porta sempre meno persone nei luoghi di culto di periferia, spesso chiusi, sconsacrati o riconvertiti ad altro.