La fusione dei ghiacci delle calotte polari e l’associato innalzamento del livello dei mari è tra le conseguenze più preoccupanti del cambiamento climatico. Per affrontare il problema, alcune società di ingegneria stanno considerando quello che sarebbe il primo intervento di geoingegneria su larga scala per preservare il ghiaccio polare. La ditta norvegese Aker Solutions e il gruppo Arup hanno, infatti, inviato i loro rappresentanti a Reykjavik, in Islanda, per discutere come costruire una barriera per rallentare l’ingresso della calda acqua marina – che è tra i responsabili dell’aumento della fusione – alla base dei ghiacci groenlandesi.

“L’idea è quella di prendere una serie di blocchi di cemento e depositarli sul fondo del mare per fornire un’ancora per una tenda galleggiante”, afferma John Moore, dell’Università della Lapponia in Finlandia e dell’Università di Pechino, in Cina. L’idea di Moore è che la ”tenda” riduca il flusso di acqua calda dall’Oceano Atlantico alla base del ghiacciaio Jakobshavn, in Groenlandia, che nel XX secolo ha contribuito a circa il 4% dell’innalzamento del livello del mare.

La calotta glaciale della Groenlandia, la seconda più grande al mondo dopo quella che copre la maggior parte dell’Antartide, contiene circa 3 milioni di chilometri cubi di ghiaccio, l’equivalente di un innalzamento del livello del mare globale di circa 7 metri. Moore stima che il costo sia inferiore a 500 milioni di dollari per chilometro. In totale circa 2 miliardi di dollari, se si considera che la foce del fiordo di Ilulissat, dove termina il ghiacciaio, è larga circa 5 chilometri.

“È un finanziamento sostanzioso”, ha detto Moore “Ma confrontatelo con i costi del contributo della Groenlandia all’innalzamento del livello del mare e i danni previsti. È dell’ordine dell’1%”. Hugh Hunt, ingegnere dell’Università di Cambridge, ritiene che le tende glaciali potrebbero rallentare, e forse anche invertire, il tasso di fusione dei ghiacciai artici e antartici. “Se le tende dovessero funzionare, allora potrebbero essere un approccio molto conveniente per proteggerci tutti dall’innalzamento del livello del mare”.

Rimangono, tuttavia, molte incognite. Innanzitutto, sarà necessario costruire dei prototipi per testare come, ad esempio, gli iceberg riusciranno ad attraversare la cortina e quale sarà l’impatto sugli ecosistemi, specialmente su flora e fauna. Il tempo di costruzione, stimato da Moore stesso fino a 30 anni, potrebbe essere un altro problema, perché il progetto perderebbe la sua efficacia in caso di tempi lunghi. Inoltre, fattore importantissimo, la cortina non ha potere sulla fusione superficiale del ghiacciaio, che è significativa ed è in forte aumento. Infine, anche se il progetto dovesse funzionare su un’area di 5 chilometri, i costi per estenderlo ad altre zone ad alto rischio sarebbero proibitivi.

Il cambiamento climatico – e le conseguenze del progetto, dovesse essere avviato – hanno un forte impatto sulle popolazioni locali, che hanno il diritto di essere parte attiva delle decisioni. Ilona Mettiäinen, collega di Moore all’Università della Lapponia, ha sondato l’opinione pubblica della cittadina di Ilulissat, che si trova alla foce del ghiacciaio e conta circa 4500 abitanti. Secondo la scienziata, “le opinioni sono state sia positive sia preoccupate per i possibili impatti sui mezzi di sussistenza associati al turismo e alla pesca”. 

Marianne Hagen, dalla Aver Solutions, sostiene che si tratta di un “progetto tecnicamente molto impegnativo, ma abbiamo già raggiunto l’impossibile e non vediamo un motivo per cui non dovremmo provare, non ultimo dal momento che il nostro scopo è risolvere le sfide energetiche globali per le generazioni future”. Forse, un motivo per non provarci affatto giace nella grande incognita di quali saranno gli sconvolgimenti a lungo termine sull’ecosistema, sulle popolazioni e sul resto del ghiacciaio. Anche se l’operazione dovesse riuscire, contribuirebbe in maniera temporanea ad un problema sistemico e cronico, specialmente quando si pensa che le emissioni di anidride carbonica degli ultimi 30 anni (cioè da quando gli scienziati e i governi hanno cominciato a discutere di tagliare le emissioni per salvare il Pianeta) sono equivalenti a quelle dei cento anni precedenti e sono andate aumentando di anno in anno.

Il finanziamento per l’incontro in Islanda è arrivato dal miliardario svedese Frederik Paulsen. Moore dice che sta creando un comitato sulla Groenlandia e l’Antartide con l’obiettivo di incoraggiare maggiori investimenti da parte di Paulsen e da altri potenziali investitori. Soldi che potrebbero essere investiti in altri progetti, come, per esempio, nella riduzione dell’uso di combustibili fossili e nella cattura di gas serra nell’atmosfera. Visto che queste attività, seppur lontane dalle calotte polari, hanno il potere di rallentare l’innalzamento del livello dei mari e migliorare le condizioni di vita sul nostro Pianeta ovunque.

La soluzione proposta da Moore e colleghi sarebbe un po’ come prendere un antinfiammatorio per curare una gamba rotta, ignorando i consigli dell’ortopedico e il vero problema alla base. Cambiare il nostro stile di vita e fare di più ogni giorno perché le cose cambino per ridurre l’impatto globale del cambiamento climatico deve essere una priorità che deve vedere noi tutti responsabili e vigili, senza nasconderci dietro pericolosi esercizi acrobatici legati alla geoingegneria che non sappiamo dove ci faranno atterrare. Abbiamo già fatto abbastanza danni.