La Natura a volte è crudele, altre ci dà una mano, soprattutto dove l’uomo combina disastri. Prendiamo, per esempio, l’incidente alla piattaforma Deepwater Horizon, nel Golfo del Messico, avvenuto nel 2010. L’equivalente di oltre tre milioni di barili di petrolio fu disperso in acqua, una catastrofe che sarebbe potuta essere ben peggiore se non ci fossero stati i miliardi di miliardi di microrganismi che hanno banchettato con gli idrocarburi fuoriusciti dal pozzo Macondo. Uno studio del 2018 ha calcolato che tra il 12 e il 25 per cento della fuoriuscita sia stato biodegradato dai batteri che si trovano naturalmente in mare. La biodegradazione è il principale meccanismo di rimozione dall’oceano del petrolio versato dalle attività antropiche. Tra le tecniche per rimediare alla catastrofe, non a caso, è stato utilizzato proprio questo approccio, facilitando con enzimi il proliferare della vita. La matematica e la fisica di tutto questo, le condizioni a cui è favorito il banchetto, erano però ancora nebulose. Un nuovo studio condotto da scienziati dell’Università di Torino e Genova, dell’Okinawa institute of science and technology e dell’Eth di Zurigo ha studiato come la turbolenza tra fluidi immiscibili favorisce la formazione di gocce sempre più piccole, accelerando il processo di biodegradazione.
Acqua e petrolio
Acqua e olio, si sa, non si mescolano. Se lasciati immobili, l’uno galleggia sopra l’altra (l’olio è più leggero dell’acqua) formando strati ben separati. Se invece li si agita, con un cucchiaino per esempio, si crea un’emulsione, una miscela temporanea in cui, più si crea turbolenza, più le gocce di olio disperse in acqua diventano piccole. Con il petrolio in mare accade la stessa cosa, anche acqua e petrolio sono fluidi immiscibili, la loro tensione superficiale impedisce la miscelazione a livello molecolare. Sgorgando dagli abissi, il petrolio deve risalire per chilometri ma siccome non si scioglie in acqua, si produce in forme, spire e volute penetrando il liquido più denso mentre si fa strada verso la superficie. Il processo con cui accade prende il nome di “instabilità di Rayleigh-Taylor” (lo stesso fenomeno che plasma le nuvole a fungo delle eruzioni vulcaniche e di un’esplosione nucleare): una turbolenza la cui dinamica è stata calcolata e spiegata nello studio pubblicato sulla rivista Proceedings of the National academy of sciences.
Goccioline ‘fast food’
È questa turbolenza a creare l’emulsione e a favorire migliori condizioni per i batteri che pasteggiano con le gocce di petrolio. I microrganismi aerobici, infatti, non riescono a penetrare all’interno della goccia, ma ne colonizzano la superficie: “La turbolenza aumenta l’interfaccia olio-acqua disponibile per la colonizzazione batterica – si legge nello studio – rompendo la massa di olio in goccioline, la distribuzione delle dimensioni delle goccioline ha un impatto importante sul tasso di incontro con i batteri e quindi, in ultima analisi, sul tasso di degradazione”.
Un fenomeno che si manifesta anche molto più vicino al pelo dell’acqua, infatti “la turbolenza RT può determinare le dimensioni e la distribuzione delle chiazze di petrolio sulla superficie dell’oceano, poiché l’instabilità RT si verifica anche quando le onde rovesciano l’interfaccia olio-acqua. In entrambi i casi, una comprensione affidabile della dinamica dell’interfaccia olio-acqua è fondamentale per prevedere la biodegradazione del petrolio”, aggiungono gli scienziati nel paper.
La matematica e gli esperimenti
Fisici ed esperti di fluidodinamica hanno elaborato un modello matematico nel centro di Okinawa e lo hanno messo alla prova nelle simulazioni di laboratorio all’Eth, il Politecnico federale di Zurigo, osservando il processo della compenetrazione dei fluidi separando petrolio (sul fondo) e l’acqua in superficie, e poi rimuovendo la membrana. “Anche se la prima teoria fenomenologica che descrive questo processo di miscelamento è stata derivata molti anni fa, è rimasta sfuggente alla verifica numerica e sperimentale, ostacolando la nostra capacità di prevedere in modo preciso la dinamica in applicazioni come gli sversamenti in acque profonde – osserva Guido Boffetta del dipartimento di Fisica dell’Università di Torino – qui forniamo la prima verifica sperimentale e numerica della teoria della turbolenza immiscibile RT, svelando le proprietà dello stato turbolento che si origina all’interfaccia olio-acqua”.
Oltre ad avere applicazioni future in molti campi della fisica e dell’ingegneria, i ricercatori hanno messo a punto uno strumento utile per valutare le condizioni in cui si troveranno ad agire colonie di batteri nel caso di futuri sversamenti: “Si dovrebbe prendere in considerazione l’intero processo di emulsionamento che si verifica negli sversamenti in acque profonde o indotto dal ribaltamento ondoso dell’interfaccia olio-acqua in una turbolenza superficiale di RT immiscibile, piuttosto che la sola fase di instabilità iniziale come è stato fatto finora. I tempi di biodegradazione stimati con il primo approccio rispetto al secondo possono portare a tempi di biodegradazione molto diversi e, di conseguenza, a risultati di valutazione dell’impatto ambientale” si legge nelle conclusioni.