Era il 1980 quando il chimico statunitense John Goodenough inventò le batterie agli ioni di litio, vincendo il premio Nobel, insieme con Michael Stanley Whittingham e Akira Yoshino. Da allora questi accumulatori hanno iniziato a diffondersi in tutto il mondo e sono ancora oggi ampiamente utilizzati, per esempio, negli smartphone, nei computer, nei veicoli elettrici.
Il litio tra pro e contro
Il loro successo è motivato soprattutto dal fatto che il litio, un metallo duttile e malleabile, di colore bianco-argenteo, vanta un’alta densità di carica: in pratica, una batteria realizzata con questo elemento può contenere più energia rispetto a una dello stesso peso creata con un altro metallo. Nonostante ciò, i problemi non mancano, soprattutto per l’ambiente. La produzione di litio, la cui disponibilità è limitata, avviene principalmente nelle miniere in Australia e nelle saline ai confini tra Cile, Bolivia, Argentina. Come spiega New Scientist, in Sud America l’evaporazione delle salamoie comporta una perdita di circa 1,9 milioni di litri di acqua per tonnellata di metallo ottenuto, una quantità enorme che rischia di lasciare le comunità locali sprovviste di risorse idriche. Senza contare che al litio, nelle batterie, è poi associato il cobalto, un metallo estratto in Congo da minatori costretti a lavorare in condizioni disumane per pochi dollari al giorno.
Il sodio come sostituto
Per questi motivi, gli esperti stanno cercando alternative al litio. Un valido sostituto parrebbe il sodio, un metallo alcalino abbondante nella crosta terrestre, che costituisce il componente principale del sale da cucina. Data la maggiore facilità di reperimento della materia prima, le batterie agli ioni di sodio hanno un costo inferiore a quello degli accumulatori al litio. Vantano, inoltre, una minore combustibilità, il che limita il rischio di incendi, e la capacità di funzionare anche a temperature più fredde (fino a -40 gradi) rispetto alle batterie tradizionali.
Problemi irrisolti
Tuttavia, sebbene siano migliorate, le nuove batterie non hanno ancora prestazioni equivalenti a quelle abitualmente in uso. In particolare, possiedono una minore densità energetica, cioè immagazzinano meno energia per unità di peso: una caratteristica che potrebbe renderle meno efficienti, limitandone l’impiego. Inoltre, alcuni prototipi utilizzano, oltre al sodio, altri metalli che necessitano di estrazione e fusione, come nichel e rame, mantenendo così alcune delle criticità degli accumulatori a base di litio. Ma la ricerca, in corso da anni, non si ferma, cercando di mettere a punto soluzioni sempre più valide.
I passi avanti delle aziende
Molte le imprese che si stanno cimentando nella sfida. Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia (International energy agency, Iea), la maggior parte si trova in Cina. Tra queste, una delle più importanti è Contemporary amperex technology (Catl), con sede a Ningde. C’è poi Byd che all’inizio del 2024 ha iniziato a costruire a Xuzhou, città a metà strada tra Pechino e Shanghai, il suo primo impianto di batterie di questo tipo, destinandole a e-bike e a veicoli a due o tre ruote.
In India, l’azienda Reliance Industries sta allestendo una gigafactory per produrre, entro la seconda metà del 2026, la nuova tecnologia, mentre, in Svezia, Altris sta avviando la produzione di un materiale agli ioni di sodio per le celle delle batterie. Nel frattempo, Natron Energy ha annunciato che costruirà un’enorme fabbrica di accumulatori al sodio nella Carolina del Nord, aumentando la sua attuale capacità produttiva di quaranta volte. Come dichiarato dall’azienda stessa, le batterie realizzate verranno utilizzate per l’accumulo di energia nei settori dei data center e delle telecomunicazioni.