La sostenibilità dei biocombustibili – a base di residui organici vegetali – non è solo un tema ambientale ma anche regolamentare; qualcuno direbbe che l’Italia è in una fase “sliding doors”, un bivio caratterizzante per il futuro. Ne è convinta l’Associazione EBS (Energia da biomasse solide) che recentemente ha contribuito insieme ai ministeri dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica e dell’Agricoltura della Sovranità Alimentare e delle Foreste, enti certificatori e altre associazioni a dar vita a un tavolo tecnico per semplificare le procedure e l’iter certificativo entrato in vigore dallo scorso agosto. In pratica con il recepimento delle direttive europee è stato inaugurato l’obbligo di un sistema di certificazione della sostenibilità dei biocombustibili che riguarda tutti gli operatori industriali con impianti di taglia superiore ai 20 MW termici. Nello specifico bisogna ricordare che le biomasse solide sono la parte biodegradabile che si ricava dalla manutenzione dei boschi e dai residui delle attività agricole e agroindustriali. Si pensi al legno delle potature, i sottoprodotti delle lavorazioni (es. lolla), la paglia, le vinacce, le sanse residuali della molitura dell’olio, etc. In Italia (Eurostat 2021) rappresentano tra i biocombustibili il 32,1% della produzione; più di biogas (21,7%), rifiuti urbani rinnovabili (17,6%) e biocarburanti liquidi (2%).

Energia rinnovabile e programmabile nella produzione

Il conferimento di questa risorsa consente, tramite sofisticati impianti ad alta temperatura, di produrre circa 4.100 GWh l’anno – pari a circa il 13% del settore rinnovabile. Non solo è un approccio circolare (delle biomasse residuali bisognerà pur far qualcosa), ma contribuisce alla gestione del patrimonio boschivo e nel rispetto del ciclo del carbonio non si generano emissioni aggiuntive di gas serra. In pratica la CO2 rilasciata nella combustione della biomassa è pari a quella assorbita dalle piante durante il loro ciclo di vita. Non di meno andrebbe ricordata la possibilità di programmare la produzione e quindi rispondere a necessità diverse indipendentemente dai fattori atmosferici. I tredici operatori che fanno parte di EBS grazie a 16 stabilimenti dislocati su tutto il territorio italiano – con capacità complessiva di 250 MWe – generano una produzione elettrica annua superiore ai 1.500 GWh. In pratica il 40% della produzione nazionale proveniente da biomassa solida. Ed ecco spiegata la preoccupazione che la complessità dei regolamenti possa generare effetti collaterali negativi nel settore. Da una parte c’è il tema di una filiera articolata, dall’altra la difficoltà per gli stessi enti di certificazione di accreditarsi per tempo. “I primi incontri si sono tenuti negli scorsi mesi presso il Masaf rivelandosi molto utili per condividere il punto della situazione di criticità e proposte da parte dei diversi portatori d’interesse coinvolti. Entro la fine di gennaio è atteso un nuovo tavolo ai fini della semplificazione della procedura”, spiega il presidente di EBS, Andrea Bigai.

Le sfide del tavolo tecnico

Le centrali a biomassa solida hanno sempre richiesto forti investimenti e notevoli costi di esercizio. Il comparto ha quindi manifestato l’esigenza di un sistema di sostegni che in effetti è previsto dalla nuova normativa: si parla di un regolamento di prezzi minimi garantiti. Il problema è che mancano ancora direttive operative. Non solo. Secondo il presidente Bigai bisognerebbe considerare la peculiarità dello scenario italiano e quindi “l’esistente patrimonio di tracciabilità autorizzativa e documentale e di controlli periodici che ormai da anni gli ispettori del ministero delle politiche agricole alimentari e forestali sistematicamente attuano, e le caratteristiche dei primi operatori delle nostre filiere”. Già, perché la maggior parte degli operatori è di piccole dimensioni e di conseguenza il costo di una certificazione non sarebbe sostenibile rispetto al ricavo ottenuto dall’attività. “Il rischio è che si possa perdere una parte della filiera, a svantaggio di tutta la collettività che vedrebbe compromettere un sistema ben rodato di economia circolare, di impiego a cascata dei residui, di valorizzazione energetica degli scarti”, sottolinea il presidente. Senza contare “un aumento dei costi variabili della nostra generazione elettrica, con effetto contrario rispetto all’obiettivo della legge che mirava ad abbassarli, considerando che la materia prima rappresenta il 95% del costo variabile”.

Da rilevare che comunque lo Stato gode di benefici fiscali annui diretti e indiretti, nonché, secondo le stime dell’associazione, un prelievo fiscale dell’indotto di circa 442mila euro per MW installato. Fra le proposte migliorative EBS suggerisce che i terzisti che fungono da collettore per i fornitori di biomassa possano essere considerati “come primo punto di raccolta facendo enormemente diminuire il numero di soggetti da certificare, con il vantaggio di confrontarsi con realtà strutturate”. Bigai ricorda infatti che i singoli fornitori sono circa un migliaio e spesso collocati anche in zone remote e montane. “Il loro coinvolgimento diretto richiederebbe dunque un impiego notevole di tempo e risorse anche da parte degli enti accreditati”. Il tavolo tecnico dovrebbe definire a breve termine “puntuali misure attuative di chiarimento e semplificazione” fondamentali per le indicazioni operative dedicate agli organismi di certificazione. Senza dimenticare che una volta raggiunto l’obiettivo la mole di richieste di certificazione da evadere saranno 3-4 mila, per di più caratterizzate da schemi diversi. “Da questo punto di vista, emerge l’importanza di assicurare l’interoperabilità tra sistemi di certificazione riconosciuti e l’opportunità di procedere per fasi, secondo un ordine logico per tipologia di realtà. Gli operatori elettrici industriali (circa 50, ndr.) assicurano il loro massimo sforzo e la loro totale disponibilità a collaborare”, conclude Bigai.