Proteggere la biodiversità che ancora esiste e resiste sul nostro pianeta è una sfida difficile quanto necessaria. Ma è fondamentale che i progetti di conservazione abbiano uno “sguardo” che va ben oltre i confini dei singoli paesi. Diversamente, il rischio è che finiscano semplicemente per spostare da una parte all’altra del mondo lo sfruttamento delle terre per scopi alimentari o per la produzione di legname, risultando in un nulla di fatto o addirittura in una perdita di biodiversità al netto di tutte le variabili. È l’insidioso problema del biodiversity leak, di cui parlano gli autori di uno studio appena pubblicato su Science, nel quale riportano anche delle possibili strategie di mitigazione del fenomeno.
“Mentre i paesi di regioni temperate come l’Europa ampliano le aree soggette a sforzi di conservazione, le conseguenti carenze di cibo e produzione di legname dovranno essere colmate da qualche parte – spiega Andrew Balmford, docente presso il Dipartimento di zoologia dell’Università di Cambridge (Regno Unito) e primo autore dello studio – È probabile che gran parte di ciò accada in parti del mondo con una maggiore biodiversità ma spesso meno ben regolamentate, come l’Africa e il Sud America”. Risultato: nessun guadagno o, peggio, perdite nette (se considerate su scala globale) in termini di conservazione delle specie.
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Gli autori riportano alcuni esempi concreti nello studio. Uno riguarda gli sforzi messi in campo per proteggere le foreste secolari del Pacifico nordoccidentale, che avrebbero però causato un aumento del disboscamento in altre zone del Nord America, probabilmente con impatti sostanziali sulla biodiversità, scrivono. Si tratta di un fenomeno insidioso perché difficile da quantificare, specialmente quando le ripercussioni di un progetto di conservazione messo in atto in una certa zona finiscono per riguardare un’area geograficamente molto distante dalla prima.
Ma, secondo i ricercatori, esistono diversi possibili approcci per tentare di mitigare il problema. Innanzitutto, spiegano, è fondamentale che il biodiversity leak venga riconosciuto e preso seriamente in considerazione. Nonostante sia noto da decenni, infatti, il problema risulta essere ancora largamente trascurato nei progetti di conservazione. Per esempio, si legge nello studio, non viene menzionato all’interno degli obiettivi del Global Biodiversity Framework, il piano strategico mondiale per la biodiversità risultante dalla Biodiversity Conference delle Nazioni Unite tenutasi a dicembre del 2022.
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Oltre alla presa di coscienza rispetto al problema, gli autori sostengono poi che eventuali cambiamenti nella produzione di cibo o di legname nelle aree interessate da interventi di conservazione dovrebbero essere tracciati direttamente nel corso dei monitoraggi previsti dal programma di conservazione stesso. Questo per far sì che le conseguenti carenze vengano colmate in modo consapevole e sostenibile, spostando eventualmente le produzioni di cibo o legname in aree che non siano hotspot di biodiversità. Ancora meglio se le rese dei prodotti di interesse possono essere direttamente ottimizzate in loco, senza nemmeno spostare la produzione, come nel caso del Gola Rainforest Project attivo in Sierra Leone (Africa). Si tratta di un progetto mirato a rallentare la deforestazione e contemporaneamente a fornire supporto tecnico agli agricoltori locali per ottimizzare i raccolti.
Un altro suggerimento che gli autori dello studio avanzano è quello di investire sul ripristino di aree una volta adibite alla produzione di legname o di cibo e che attualmente sono degradate e non più utilizzate a fini produttivi. Infine, puntare a ridurre gli sprechi, sul fronte della produzione e anche del consumo di alimenti e legname, aiuterebbe in modo indiretto a diminuire la pressione produttiva sulle zone oggetto di interventi di conservazione.
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“In assenza di attenzione e azione – conclude Fiona Sanderson, scienziata della Royal Society for Protection of Birds, che lavora per ridurre gli impatti della produzione di cacao in Sierra Leone ed è co-autrice dello studio – c’è un rischio reale che il biodiversty leak mini i sudati successi in termini di conservazione”.