“Il pane non si spreca, ma si beve”. La scritta campeggia sulle bottiglie di birra Biova, in vendita in Coop NordOvest. Lo stesso pay off potrebbe essere utilizzato in Veneto, Lombardia e così via, grazie all’idea di Emanuela Barbano e Franco Dipietro (entrambi 42 enni, di Torino) di fare la propria parte per ridurre lo spreco alimentare trasformando il pane invenduto in birra. Chiara, ambrata e leggera.
Sono 1.6 miliardi le tonnellate di cibo che vengono sprecate ogni anno (dati Fao): un terzo della produzione alimentare globale. Questi sprechi sono responsabili del 6% delle emissioni di gas serra, della dispersione di milioni di litri di acqua potabile, mentre 1.4 milioni di ettari di terreno coltivabile viene utilizzato per produrre cibo che non verrà mai mangiato contribuendo alla perdita di biodiversità. Parlando di solo pane, in Italia, ne vengono gettate ogni giorno 1.300 tonnellate (dati Assipan). Una grande percentuale di questo spreco non viene venduto e rimane sugli scaffali dei punti vendita, nonostante da tempo la categoria si sia attivata attraverso molte iniziative per distribuire l’invenduto a chi ne ha più bisogno.
“Io e Emanuela eravamo impegnati come volontari in una Onlus chiamata Equoevento, che si occupa della ridistribuzione e riutilizzo del cibo avanzato nei catering aziendali. In quei momenti abbiamo toccato con mano il problema dello spreco alimentare, in particolare il pane, avanzava sempre in quantità abnormi. Possibile che non ci fosse un modo per recuperarlo?”, spiega Franco, ingegnere con la passione per la logistica. Nel 2019 nasce Biova Project.
L’idea è semplice: il pane invenduto viene ritirato dai punti vendita della Gdo o da realtà locali con cui la startup ha instaurato un rapporto di collaborazione e viene utilizzato per sostituire fino al 30% del malto d’orzo utilizzato per produrre la birra. La produzione avviene in birrifici locali già esistenti, che producono utilizzando la ricetta di Biova, con la materia prima fornita. Sfruttando laboratori già in funzione vengono saturati spazi già esistenti, evitando sprechi, cementificazioni e limitando le emissioni connesse a logistica e trasporto, in quanto vengono individuati in prossimità dei punti vendita.
“Dal pane si può fare la birra, e questa birra viene riproposta a quelle stesse realtà che hanno fornito le eccedenze di pane e che quindi riescono a comunicare la loro partecipazione ad un progetto di economia circolare”. In appena due anni al progetto hanno aderito rappresentanti della Gdo come Unes Supermercati, Coop e Eataly ma anche botteghe e distributori minori, sparsi tra Veneto, Campania, Liguria, e nelle città di Torino, Bergamo e Como.
“La birra non solo diventa soluzione di recupero, ma anche espressione dell’artigianalità di un territorio: sapevamo già che si poteva fare birra dal pane, è un’antica tradizione che arriva dall’Egitto. Ma se si pensa che qualunque tipo di pane può essere trasformato in birra, è chiaro che avremo ogni volta un gusto diverso e unico”.
Per un recupero ancora più spinto, con gli scarti della birra prodotta a Torino vengono realizzati degli snack (si chiamano Ri-Snack) l’ultima idea di Biova Project: triangolini a base di malto d’orzo che essendo già stato usato produrre la birra ha molti meno zuccheri ma è ancora ricco di proteine, fibre e sali minerali.
Dalla sua fondazione Biova Project ha già recuperato e riutilizzato 3 mila chili di pane invenduto, 4 mila e cinquecento chili di CO2 risparmiata dalla gestione dell’invenduto, 5 mila chili di CO2 risparmiata dalla riduzione del malto d’orzo, più di 54 tonnellate di bottiglie e lattine riciclate. Cinque assunzioni, quasi un milione di euro di capitale raccolto, una nuova idea di riciclo in fase di realizzazione e nuovi accordi a cui manca l’ultima firma. “Ogni 150 chilogrammi di pane recuperato produciamo 2.500 litri di birra premium nel nostro birrificio partner più vicino, salviamo il 30& di malto d’orzo di materia prima necessaria e risparmiamo 1.365 chili di emissioni di CO2 all’ambiente”