Anche la birra può essere più sostenibile. Stiamo parlando del metodo di produzione, finito sotto la lente dell’Istituto per la bioeconomia del Cnr che ha dimostrato l’utilità di una tecnica specifica che eliminerebbe un passaggio centrale nella fase produttiva. La birra, infatti, ha bisogno della bollitura del mosto, uno step che ha dei consumi elevati a livello energetico, e che richiede un tempo standard. Ebbene lo studio italiano, pubblicato sulla rivista Beverages, potrebbe aver trovato una soluzione alternativa alla tradizionale produzione industriale brassicola, per la realizzazione di una delle bevande più consumate e popolari.

Lo studio ha fatto ricorso ad una tecnica chiamata cavitazione idrodinamica, che consente di scaldare il mosto ad una temperatura di 94°C, quindi al di sotto dei 100 gradi centigradi, che sono quelli in cui il liquido comunemente va in bollitura, e che deve essere mantenuta per un’ora e mezza. La cavitazione idrodinamica è un processo fisico in cui la variazione di pressione nei liquidi genera microbolle di vapore che implodono rilasciando energia. Questo fenomeno è già utilizzato in diversi settori industriali, e sta trovando applicazione anche nella produzione della birra, in particolare nella fase di bollitura del mosto. Dunque, questo passaggio, conserva tutte le caratteristiche chimiche, ma abbattendo consumi e costi. I ricercatori del Cnr di Firenze stimano l’abbattimento di oltre l’80%, ma non è tutto.

La cavitazione, infatti, elimina il precursore del dimetilsolfuro, lo S-methylmethionine, riducendo il suo tempo fino al 70% senza l’uso di additivi chimici. Inoltre, questa tecnica migliora l’isomerizzazione degli acidi alfa del luppolo, che sono responsabili dell’amaro della birra, anche a temperature inferiori ai 100°C; si tratta di un processo chimico in cui una molecola cambia la sua struttura senza modificare la sua composizione chimica. Con il calore questi acidi (alfa) si trasformano in una forma più solubile che contribuisce al sapore amaro della birra, ma nel caso specifico, il dimetilsolfuro è subito espulso dal mosto della birra e alla fine del processo, l’amaro di luppoli si trasferisce al mosto, modificandone il colore.

“Soltanto attraverso la cavitazione idrodinamica, che concentra un grande quantitativo di energia, è stato possibile ottenere questi risultati”, sottolinea Francesco Meneguzzo, primo ricercatore del Cnr-Ibe e coordinatore dello studio per la birra sostenibile. Tra i principali vantaggi di questa tecnologia, oltre alla riduzione del consumo energetico, che potrebbe essere implementanto se la produzione fosse alimentata da fonti rinnovabili, c’è anche il miglioramento della qualità della birra, in quanto la tecnologia permette di mantenere intatte le caratteristiche organolettiche del prodotto e inoltre la cavitazione idrodinamica potrebbe essere applicata ad altre bevande vegetali, come succhi di frutta. Dunque si prefigura la possibilità di un utilizzo su scala industriale, che renderebbe la birra sostenibile e più economica. Grazie alla riduzione delle perdite di calore e all’uso efficiente delle risorse, questa tecnologia potrebbe essere adottata dai grandi birrifici che pur essendo radicati nella tradizione, sostengono soluzioni sempre più innovative per una produzione ecologica.

Ora, la notizia nella notizia, è che questo studio potrebbe essere talmente importante per il settore brassicolo, che già nel 2016 il Cnr ha depositato il brevetto dello studio condotto con la cavitazione idrodinamica, che in questi quasi 10 anni ha continuato a sperimentare e migliorare. “Fin dall’inizio abbiamo sostenuto con convinzione lo sviluppo delle ricerche relative a questo brevetto e i risultati raggiunti ci danno ragione. La possibilità di utilizzare soltanto energia elettrica, potenzialmente generata da fonti rinnovabili, rappresenta una svolta e un impulso concreto alla decarbonizzazione di uno tra i settori alimentari più energivori”, le parole di Maria Carmela Basile, responsabile dell’Unità valorizzazione della ricerca del Cnr, che gestisce e tutela la proprietà intellettuale dell’Ente, mentre il brevetto è stato già acquistato da un’azienda che a suo tempo aveva finanziato le ricerche.

Restano però, alcune “criticità” da affrontare, tra cui il controllo della schiuma generata dal processo che richiede ulteriori studi per ottimizzare le condizioni operative. Inoltre, la standardizzazione del metodo per garantire una qualità costante della birra è un aspetto cruciale su cui i ricercatori stanno ancora lavorando