Brasile, Foresta Atlantica. Una zona enorme che comprende foreste pluviali, foreste secche, mangrovie, praterie, savane. E che è purtroppo in pericolo, minacciata da deforestazione e consumo del suolo. Ma c’è una piccola buona notizia, che la dice lunga su quanto sia forte e significativo l’impatto dell’attività antropica. Uno studio appena pubblicato sulla rivista Pnas Nexus ha mostrato che nelle porzioni di foresta “restituite” – dopo gli accordi di riconoscimento dell’usufrutto del suolo alle comunità indigene che le hanno abitate per secoli – la deforestazione si è ridotta e gli alberi sono tornati a crescere. Il lavoro, condotto da un gruppo di esperti della University of Colorado Boulder, conferma l’ipotesi – già supportata da analoghe ricerche precedenti – che il riconoscimento legale del “diritto alla terra” delle popolazioni indigene non è solo uno strumento efficace per ridurre lo sfruttamento del suolo e le violazioni dei diritti umani, ma anche per mitigare il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità.
“Il nostro studio”, ha spiegato Rayna Benzeev, prima autrice del lavoro, “aggiunge un tassello importante al crescente numero di prove che il possesso della terra da parte degli indigeni ha spesso migliorato la riforestazione: un fatto che ora sappiamo essere valido anche per la Foresta Atlantica, una regione che ha subito il processo di deforestazione per un lungo periodo di tempo” soprattutto a causa di agricoltura, urbanizzazione, estrazione mineraria e raccolta di legname. “Proteggere le foreste”, fa eco Peter Newton, co-autore del lavoro, “non è solo importante per la salute degli alberi e per la biodiversità in generale. È fondamentale anche per le popolazioni che le abitano e che dipendono da esse: tenere conto del benessere degli esseri umani è una parte integrante del futuro sostenibile delle foreste”.
La Foresta Atlantica è la seconda foresta pluviale più grande del Brasile: copre una superficie di circa 90mila chilometri quadrati, più o meno un terzo dell’Italia, e si estende per circa 3mila chilometri lungo la costa atlantica, toccando 17 diversi stati brasiliani e grandi città come Rio de Janeiro e San Paolo. Cinque secoli di deforestazione ne hanno ridotto la superficie a poco più di un decimo rispetto a quella originaria (per confronto, la Foresta Amazzonica conserva ancora circa l’80% della sua area originaria): “La Foresta Atlantica”, spiega ancora Benzeev, “ha un gran potenziale di riforestazione. Finora la comunità internazionale l’ha sottovalutata, anche se è più criticamente minacciata rispetto alla Foresta Amazzonica”.
Nello studio appena pubblicato, i ricercatori hanno analizzato i dati relativi a 129 comunità indigene residenti nella Foresta Atlantica cui, tra il 1985 e il 2019, sono stati formalmente riconosciuti i diritti alla terra, incrociandoli con fotografie satellitari dello stesso periodo di tempo: in questo modo hanno osservato, per l’appunto, che nelle zone “tornate” agli indigeni la deforestazione e la riforestazione erano rispettivamente rallentate ed aumentate rispetto alle zone rimaste formalmente in mano al governo. “Il nostro lavoro”, continua Benzeev, “mostra che ogni anno successivo alla formalizzazione del diritto alla terra degli indigeni c’è stato un aumento dello 0,77% in copertura forestale rispetto alle altre terre”. Una quantità che, sommata nel corso dei decenni, vuol dire moltissima foresta in più.
Ma c’è ancora molto da fare, soprattutto dal punto di vista politico: “Negli ultimi anni c’è stata una ‘stagnazionè nel processo di restituzione della terra agli indigeni. Bisogna lavorare per rendere questi processi più continui: in questo modo, gli indigeni potranno ottenere l’autonomia territoriale – e potrà quindi progredire la riforestazione – indipendentemente dai cambiamenti politici a livello nazionale”.