Un tempismo perfetto: tra il Black Friday e Natale, Netflix sgancia sulla sua piattaforma un documentario che spara a zero sulle multinazionali, che con le loro tecniche di marketing e psicologia, inducono bisogni inesistenti ai consumatori, spingendoli a comprare, accumulare, gettare via. Si chiama Buy Now – L’inganno del consumismo, il titolo della piattaforma di streaming che usa la voce fredda e priva di emotività dell’IA, come filo conduttore narrante, alternando interviste a ex dipendenti o manager di importanti aziende, che dopo essersi resi conto della follia del consumismo sfrenato e compulsivo, hanno preso altre strade. E raccontano i danni fatti nel documentario, che non risparmia nessuno: ci sono Amazon, Apple, solo per citare i due brand più globali, ma si tirano in ballo anche le multinazionali del fast fashion, come Shein, che hanno cambiato il modo di concepire l’abbigliamento, trasformandolo in usa e getta o uno dei brand sportivi più importanti al mondo, Adidas.

“Buy now, l’inganno del consumismo”, il trailer

Scritto e diretto da Nic Stacey, il doc di Netflix si divide in diversi capitoli, in cui lo spettatore è accompagnato passo dopo passo a scoprire quello che accade nella stanza dei bottoni, quelle commerciali e del marketing che sfruttano le debolezze dell’ignaro consumatore spingendolo a comprare: fin qui nulla di nuovo. Cose note, ma Buy Now ha il merito di affrontare l’argomento da un altro punto di vista, quello dell’inquinamento ambientale strettamente correlato al consumismo globale. Si, perché, più si comprano oggetti inutili, vestiti che non servono, cellulari nuovi solo perché è uscito il nuovo modello, e più si alimenta la fabbrica dei rifiuti globali. Globali esattamente.Un investigatore dei rifiuti (si definisce proprio così) ha messo un localizzatore Gps dentro un vecchio tv, e lo ha portato in una discarica a Dresda in Germania; da lì è stato trasportato fino al porto di Anversa, in Belgio per poi finire in una discarica abusiva in Thailandia, dove lavoratori sfruttati estraevano i materiali riutilizzabili e potenzialmente nocivi e senza alcuna protezione.

Altro caso emblematico: per essere a posto con la coscienza, noi consumatori portiamo capi usati in uno store di un brand molto famoso, che offre uno sconto sul nuovo, promettendo di riciclarli. Ma dove finiscono i nostri abiti usati? Molto probabilmente in Ghana che dal 2023 è la discarica di vestiti più grande al mondo, dove ne arrivano 15 milioni ogni settimana e se non vengono rivenduti sul mercato usato, finiscono ammassati sulle spiagge. E le immagini di tonnellate di magliette, scarpe, pantaloni ammassati in riva al mare è inquietante. Il mondo è sommerso di rifiuti. E lo saremo sempre di più, ci dice il documentario, perché quello che le aziende promettono di riciclare, in realtà sono percentuali infime, bassissime che non cambieranno nulla. Ed infatti Buy Now ci mostra con l’aiuto della computer grafica i grattacieli di Tokyo o di New York con torri di rifiuti, alti esattamente come i grattacieli.

Se del fast fashion e green washing sappiamo già abbastanza (ma mai troppo), quello che il doc denuncia, almeno negli Stati Uniti, sono le false etichette del packaging: se scegliamo di comprare un prodotto perché ci sono i loghi che indicano il riciclo, in realtà, spiega Buy Now in America non ci sono norme rigide in materie e con ogni probabilità, quei rifiuti finiranno in discarica o bruciati. Un’altra menzogna del marketing insomma. Per non parlare dell’obsolescenza programmata: un ingegnere che lavorava in una delle più importanti aziende tecnologiche, ora fondatore di una startup dove i device elettronici sono completamente smontabili e riparabili, racconta delle pratiche scorrette di alcuni prodotti che montavano batterie con scadenza a due anni o di device in cui la batteria non poteva essere in nessun modo smontata.

Ce n’è per tutti. Una dipendente della prima ora di Amazon, dopo 15 anni di onorato servizio è stata messa alla porta via Zoom, perché da tempo stava sensibilizzando i suoi colleghi prima ed i suoi concittadini si Seattle poi, verso la scarsa policy di sostenibilità dell’azienda, che non è l’unica, Anzia è in buona compagnia tra le big company; infatti solo una minima parte dei rifiuti che il consumatore differenzia in modo diligente, viene effettivamente riciclata, mentre il resto finisce in discariche, in mare o negli inceneritori alimentando un altro dramma della nostra epoca, il surriscaldamento globale.

Ed infine, ci racconta Buy Now, tutta la responsabilità dell’inquinamento viene scaricata sui consumatori, mentre sono le aziende a mettere in pratica comportamenti scorretti, dannosi per le comunità, motivo per cui la proposta del doc è che siano le aziende che continuano a produrre quantità insostenibili di prodotti di plastica o comunque usa e getta, a farsi carico anche del corretto smaltimento dei rifiuti, quindi di adottare pratiche reali di riciclo, e non solo di facciata, per mostrare al cliente la parte più pulita (ma falsa) e nascondendo molto bene quella sporca.