Nel deserto di Sonora, nell’estrema propaggine sud-orientale della California, non lontano dal confine con il Messico, una piramide si staglia su un network di linee e curve in granito che, dall’alto sembrano un incrocio tra una pista aerea e le linee di Nazca. Ad accentuare l’effetto Stargate, le indicazioni che sottolineano che là, a Felicity, si trova il centro del mondo.

Lì, ogni mattina, il sindaco, fondatore nonché direttore dell’ufficio postale, il 94enne Jacques-André Istel prende la prima colazione, a letto, forte della grafiticazione di aver scoperto – appunto – il punto nodale del pianeta e di averlo scelto per il suo progetto. Un’idea… low profile, la sua che consiste nella creazione di un museo che racchiude niente meno che l’intera storia dell’umanità.

Felicity, nel deserto californiano il museo che racconta la storia del mondo

Il progetto è tuttora in corso, va avanti da quasi quattro decenni, dal 1986, per l’esattezza. “Non esiste nulla di simile al mondo – spiega Istel all’agenzia di stampa France Presse. Due piccole case di partenza attorno alle quali è stato fatto crescere l’anfiteatro dei sogni dell’ideatore del tutto: 1.052 ettari dove lo scorrere del tempo è scandito da una meridiana che usa il braccio di Dio – come è stato dipinto da Michelangelo nella Cappella Sistina, per proiettare la sua ombra. Nei pressi c’è un pezzo di una vecchia scala che faceva parte della Torre Eiffel, e i cui gradini salgono nel vuoto.

L’ufficio postale della città, che Istel ha attivato e gestisce sin dal dicembre 1986, raccoglie e distribuisce posta alla manciata di residenti e ai turisti. Gli assegni da 1 dollaro che ogni anno il Tesoro Usa manda a Felicity non vengono incassati, ma incorniciati a far parte del museo.

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Secondo Istel, la piramide si trova all’esatto centro del pianeta. L’uomo fu eletto sindaco poco dopo la fondazione di Felicity, in uno scrutinio con tre votanti, Istel stesso, la moglie Felicia, cui è stata intestata la località, e un drago invisibile, protagonista della storia che il quasi centenario ha scritto su questo luogo e sulla sua ubicazione nel mondo. Un supervisore della Contea Imperial, in cui l’area e la località si trovano, ha ratificato la validità del ballottaggio, pur dichiarando che il voto di un dragone era stato accettato “per la prima volta nella storia della California”.

I visitatori di Felicity, se ne contano a dozzine al giorno, nei mesi tra ottobre e aprile, i migliori, se non i soli, per sfidare le temperature del deserto, entrano percorendo un cammino che scorre tra case costruite in simmetria, fino alla priamide. Il luogo è “ufficialmente” il centro di tutte le cose. Istel assicura che ci sono le prove, a cominciare dalla dichiarazione ufficiale dei supervisori della contea. Anche se poi, sotto i baffi, riconosce che in tutto ciò c’è una licenza creativa. “Il centro del mondo può essere ovunque”, sorride.

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Oltre la piramide, 723 pannelli di granito rosso si affacciano alla vista, suddivisi per branche tematiche, esplorando la storia, la geografia, la politica, le scienze, la moda e la cultura. Qua un pannello racconta la schiavitù negli States, là un altro esplora le gesta di Alessandro Magno. In un’altra si scoprono i riti sacrificali dei vichinghi, in un’altra ancora lo stile alimentare dell’americano contemporaneo.

La vicenda umana del fondatore non è probabilmente estranea all’originalità della sua creatura. Nato nel 1929 a Parigi, da una famiglia benestante, ha abbandonato la sua terra poco prima che i nazisti marciassero su Parigi, trovando casa negli Usa. “Sono qui grazie ai tedeschi – racconta -. La mia famiglia li ha combattuti per tre generazioni. Mio padre partì per l’Inghilterra con De Gaulle, mio fratello disertò dall’esercito francese per il Canada, si arruolò nell’aviazione canadese e morì in guerra, mia madre, gli altri miei fratelli ed io venimmo negli Stati Uniti”.

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Laureatosi in economia, il giovane Jacques-André intraprese inizialmente la carriera finanziaria nell’attività bancaria di famiglia. Ma, evidentemente non incline a svolgere attività convenzionali, finì a fare il paracadutista professionista. In cerca di divertimento e di brivido lontano da una professione che non amava, prese il brivetto da pilota di aereo e successivamete cominciò a lanciarsi. Un viaggio in Europa gli fece conoscere i pionieri del paracadutismo praticato a scopo ludico, attività che in seguito importò negli Usa. Fu uno dei fondatori di un’azienda che contribuì al successo di questa pratica sportiva negli States, tanto che tra gli appassionati è conosciuto come “padre del paracadutismo nordamericano”.

Quel primo successo imprenditoriale gettò le basi – anche economiche – del progetto Felicity. In uno studio che abbonda di memorie personali, di un’esistenza lunga e densa di eventi – la laurea di Princeton, mobili del periodo pre-guerra, foto di famiglia – Istel assicura che il suo museo non è un’autocelebrazione ma un regalo all’umanità.

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Sempre senza prendersi troppo sul serio, Istel spiega che forse il luogo diverrà una meta di pellegrinaggio per le generazioni a venire, o magari sarà distrutto da un terremoto catastrofico, di quelli che in California non mancano. “Il lato positivo potrebbe essere, in quel caso, che gli archeologi potranno fare un grande ritrovamento”. E se non accadesse? “Beh, a volte le cose vanno così”.

Al momento sono stati incisi più di 700 pannelli, il progetto è di scolpirne almeno altri 200. Ma si potrebbe andare oltre. Lo spazio, a Sonora, non manca. Benché avanti con gli anni, Istel non sembra volersi fermare. La colazione a letto è soltanto un rituale: nuota tutti i giorni, e sale disilvolto i 49 gradini che portano fino alla cappella di Felicity. La vastità e la difficoltà dell’impresa da compiere potrebbero non fare dormire la notte molti. Ma non Istel. “Dormo bene, anche se continuo a pensare ai nuovi pannelli – conclude -. A Felicity non facciamo le cose a metà. Le facciamo nel modo proprio o lasciamo perdere”.