Sequoie. Aiutarle a salvarsi o meno. Questo il dilemma che affligge la California, dopo che gli incendi devastanti, in particolare quelli del 2020 e del 2021, hanno messo in serio pericolo la sopravvivenza di questi colossi spesso millenari, uno degli emblemi dei Golden State nordamericano. 

Alla vigilia dell’avvio di un progetto di riforestazione inedito, il dibattito scuote l’opinione pubblica. La devastazione delle due estati in cui – a causa dei cambiamenti climatici – l’estremo ovest degli Usa è stato flagellato dalle fiamme, ha ucciso 14mila di questi colossi, pari a un quinto della loro popolazione mondiale, che vive solo in una fascia lunga circa 350 chilometri nell’immediato entroterra californiano.

Per riparare il danno il servizio dei parchi nazionali (NPS), in particolare quello dei Kings Canyon, che ospita la Redwood Mountain Groove, habitat principe di queste conifere ha in mente un progetto di ripopolamento che conta di ripiantare nell’area devastata giovanissimi alberi coltivati nei laboratori o nelle serre. 

California, le foreste delle sequoie dopo gli incendi

“L’obiettivo è quello di ristabilire un numero sufficiente di sequoie nei primi anni dopo gli incendi, in modo da avere alberi tra 60, 100 o 400 anni”, spiega all’agenzia di stampa France Presse l’ecologa Christy Brigham dal cuore del Redwood Mountain Grove, dove gli alberi più imponenti superano i 90 metri di altezza, con tronchi talvolta eccedenti i 9 metri di diametro. I più vecchi hanno 3.200 anni.

Oltre 90 metri di altezza e 9 di diametro

Un tempo molto diffuse nel pianeta, queste meraviglie della natura “ci aiutano a pensare a lungo termine quando valutiamo le nostre azioni, a considerare aspetti come il cambiamento climatico e la gestione delle foreste”, aggiunge Brigham.

Fattori, questi ultimi due, che stanno contribuendo a mettere in pericolo le sequoie, che molti ritenevano pressoché immortali. Fondamentalmente, il fuoco è necessario per la rigenerazione di queste piante: le fiamme puliscono e nutrono il terreno intorno a loro, e i loro coni – escrescenze che assomigliano a pigne – hanno bisogno di calore intenso per espellere i semi fertili che contengono.

(afp)

Ma l’uomo ha fatto deragliare questo ciclo naturale. Per decenni, la California ha volontariamente preservato la vegetazione in molte delle sue foreste per ridurre il rischio di incendi. Di conseguenza, le sequoie si sono ritrovate circondate da alberi più piccoli e legno morto.  Quando però il cambiamento climatico ha esacerbato la siccità dell’ultimo decennio, la vegetazione circostante si è trasformata in una polveriera piena di combustibile.

Il disastro nelle estati 2020-21

In queste condizioni, i mega-incendi del 2020 e del 2021 hanno causato una devastazione senza precedenti. Alberi millenari si sono trasformati in scheletri anneriti. Le fiamme hanno raggiunto le cime e “hanno bruciato alberi alti 200 piedi (60 metri, ndr), cosa che non avevamo mai visto prima”, ricorda Brigham. Dopo il loro passaggio, “abbiamo visto pochissimi coni e quasi nessuna piantina, il che è inaudito”.

Secondo Nps, in alcue aree non ci sono abbastanza sequoie adulte o piantine giovani e vitali sopravvissute da consentire una ricrescita spontanea. Da qui il progetto di riforestazione. Invece di lasciare che gli alberi a crescita più rapida, come pini e querce, prendano il sopravvento sulle foreste ad alto fusto, Brigham e il suo team intendono piantare migliaia di mini piantine di sequoie importate dai vivai. Il progetto durerebbe diversi anni e dovrebbe costare 4,4 milioni di dollari, a condizione che le autorità diano il via libera a ottobre.

“Questi boschi non si riprenderanno senza restauro”, ha detto Andrew Bishop, un altro ecologo del parco. Senza sequoie in grado di riprodursi, “quando ci saranno incendi in futuro, non ci sarà più alcuna polizza assicurativa” a garantire la rinascita dei giganti. Bishop spiega che a 2-3 anni dagli incendi si vedono alcune piante nate spontaneamente, ma troppo sporadiche. “La criticità deriva dal fatto che, in sezioni di foresta da 400 acri (160 ettari circa) devastate dalle fiamme non abbiamo sequoie vive capaci di riprodursi”.

I rischi dell’intervento umano

Diagnosi, questa, che è ben lontana dall’unanime consenso. Per Chad Hanson, direttore dell’associazione ambientalista John Muir Project,  il programma di riforestazione è un’eresia, perché la natura ha già fatto il suo lavoro. Nelle zone bruciate “ci sono così tante giovani piante di sequoia (…) che è difficile camminare”, sostiene il direttore dell’associazione ambientalista. Secondo lui, NPS ha effettuato il censimento in modo errato, sottostimando il numero di semi presenti sul terreno, in qualche caso in quantità dell’ordine delle migliaia per acre (0,4 ha).

(afp)

“Ci sono così tanti semi di sequoia in certe sezioni bruciate che è quasi difficile camminare”, racconta.  L’invio di grandi squadre di lavoratori e muli comporterebbe probabilmente la distruzione delle piante nate spontaneamente. “Probabilmente uccideranno molte più piante di quelle che pensano di seminare”, dice Hanson, aggiungendo che le piante coltivate in vivaio portano con sé anche il rischio di agenti patogeni alla radice, mai affrontati prima dagli alberi “liberi”, il che potrebbe compromettere la salute degli alberi adulti riproduttivi.

E se poi il progetto dovesse fallire…

E se il programma non dovesse funzionare come Nps si aspetta, Hanson teme che il passo successivo siano interventi ancora più aggressivi. “Il che potrebbe includere – spiega l’ambientalista – quello che loro chiamano diradamento (riduzione controllata della densità di una foresta n. d. r.), che in molti casi è un eufemismo per un qualche tipo di disboscamento – seguito da irrorazione di erbicidi e da nuove semine”.

Niente di tutto questo dovrebbe accadere nella natura allo stato selvaggio, che è l’habitat degli ecosistemi più completi e autosufficienti che esistano. “Quando gli uomini intervengono, raramente si rivelano particolarmente d’aiuto, anche quando pensano o dicono di esserlo”, conclude Hanson.

 Brigham, d’altra parte, è convinta che questa idea di natura selvaggia incontaminata sia di per sé fallace. L’eccidio causato dagli incendi negli ultimi decenni ha lasciato combustibile fossile che non ci sarebbe dovuto essere, e d’altro canto l’attività umana nel suo complesso sta rendendo il pianeta sempre più caldo, alterando (anche) l’ecosistema di questa foresta.

“Queste due cose insieme significano che abbiamo già colpito quest’area selvaggia – conclude la naturalista del National Park Service –. “Non è stata la natura a fare le sue cose senza l’uomo, e il risultato ora è che se non interveniamo, perderemo parti di questa foresta.”