L’eruzione del vulcano Cumbre Vieja, che per tre mesi ha flagellato l’isola di La Palma, forse la meno conosciuta e frequentata delle Canarie, e conseguente la più povera, potrebbe restituire almeno in parte i danni arrecati – 3 mila abitazioni rase al suolo con alcune delle strade principali, danno stimato prossimo al miliardo di euro, seppure il tutto fortunatamente senza decessi – sotto forma di turismo specificamente dedicato al dopo-eruzione.
Iniziata il 19 settembre, dichiarata ufficialmente conclusa il giorno di Natale, la furia del vulcano lascia oggi, assieme alla prevedibile devastazione, uno scenario di mura di lava solidificata, alte fino a 70 metri, e di gas che ancora fuoriescono dai crateri, il tutto circondato da turisti che raggiungono l’isola per partecipare a specifici tour tematici, la cui domanda è in crescita. Il tutto è già oggi sufficiente ad attirare investimenti mirati sulla promozione di questa particolare offerta vacanziera.
Il tutto, da un lato, sembra stridere con le necessità primarie di migliaia di persone alle prese con esigenze primarie materiali, a cominciare dalla ricostruzione delle abitazioni andate distrutte, ma anche morali, si pensi all’effetto dei turisti che guardano a bocca aperta la devastazione di cui gli abitanti di La Palma sono le vittime. Senza considerare la necessità – per chiunque organizzi movimenti turistici consistenti – di monitorare costantemente l’attività del vulcano, allo scopo di prevenire il peggio.
“Nonostante la distruzione che s’è lasciato alle spalle, il vulcano ha creato delle opportunità, e il turismo è una di queste”, è convinto Mariano Hernandez Zapata, il capo del governo isolano locale. L’Islanda e le Hawaii sono gli esempi lampanti – e recenti – di come il turismo post-eruzione vulcanica sia in grado di accrescere arrivi e presenze anche in luoghi dove il movimento è vivace di per sé. A La Palma, spiega Zapata, il numero delle navi da crociera ormeggiate è aumentato. E tutto questo potrebbe aiutare La Pama a diversificare la propria economia, oggi sostanzialmente agricola.
Il governo spagnolo ha annunciato la scorsa settimana un piano di quasi 10 milioni di euro finalizzato alla promozione del turismo a La Palma, che negli ultimi mesi del 2021, quelli dell’eruzione, si era più che dimezzato. “Il vulcano ‘deve’ restituire all’isola quello che le ha tolto”, sintetizza Sergio Rodriguez, sindaco di El Paso, una delle città che hanno subito maggiormente gli effetti di cenere e lava. Rodriguez è molto attivo sul fronte dei possibili progetti a tema eruzione – itinerari trekking sul vulcano, un centro studi scientifico a tema, una funivia con vista sulle aree devastate.
D’altra parte, gli affari sembrano già andare a gonfie vele per operatori turistici come Get Holidaysm che offre un’escursione di 11 ore attorno al vulcano, perlopiù frequentata dai cittadini della vicina Tenerife, al costo di 125 euro. Una compagnia fondata da un molisano, Basso Lanzone, che racconta all’agenzia di stampa inglese Reuters come i visitatori che dalla più grande delle Canarie a La Palma, normalmente una trentina alla settimana, siano balzati a 1.200 a settmana nel periodo dell’eruzione, e si mantengano attorno ai 150 ora.
E se i turisti sono affascinati dallo scenario che possono ammirare, quando arrivano su un sito dove i cumuli di cenere hanno letteralmente inghiottito le case preesistenti, e quasi inesorabilmente si immortalano davanti a quella scena, le cose sul fronte di chi le ha vissute possono sembrare diverse. Anche se c’è chi prova ad adattarsi. Ana Garcia, astrofisica di 47 anni che prima della pandemia, per 4 volte alla settimana, faceva scoprire ai turisti i cieli limpidi dell’isola, pensa, ora che a malapena riesce a condurre un’escusione settimanale, a specializzarsi in vulcanologia. “Dobbiamo prima pensare a sopravvivere, e in secondo luogo al modo in cui evolvere il nostro business”.
Le lingue di roccia fusa fuoriuscite dai crateri – estese fino a 4 chilometri, hanno invaso circa 1220 ettari, distruggendo oltre 3mila ediifci. Settemila degli 84mila abitanti dell’isola hanno dovuto abbandonare le loro dimore. Chi ha visto case e terreni svanire non può neppure ricostruire sulla lava, perché proibito dal governo locale, oltreché dal buon senso, dato che la lava si deve prima raffreddare. Un processo che potrebbe durare anni, lasciando intere aree prive anche di altri fondamentali, come acqua ed elettricità.
Esmeralda Martin e Enrique Perez, una giovane coppia con due figli che ha perso la casa e l’attiguo piccolo campo di banane non credono che il boom del turismo sia la soluzione ai problemi dell’isola. “Molti di noi hanno perso tutto, ed è difficile ricominciare da zero: le priorità sono altre”.