Carlo Ratti, il ministro dei Trasporti Matteo Salvini ha detto che le città con un limite di velocità a 30 chilometri orari creano “più code e inquinamento, e i dati scientifici esterni pubblicati ci danno finalmente ragione”. Si riferisce alla sua ricerca.
“I dati che ho presentato all’Urban Mobility Council qualche giorno fa non sono stati interpretati correttamente dalla stampa…”.
Ci sono decine di siti web con lo stesso titolo: “Le città a 30 chilometri orari hanno più inquinamento”. Come è stato possibile travisare il senso della ricerca?
“Non lo so, forse potevamo stare più attenti anche noi. In realtà la slide sulle emissioni avevamo deciso di levarla dalla presentazione perchè lo scostamento era irrisorio e non teneva conto degli effetti nel medio periodo…”.
Nel suo intervento infatti non ne parla mai.
“Mai. Ma quella slide per qualche ragione è finita nella cartellina stampa e i giornalisti hanno fatto il resto… Ripeto: noi avremmo dovuto essere ancora più chiari ma in venti anni che dirigo il Senseable City Lab del MIT una cosa simile non mi era mai successa”.
Qualcuno ha insinuato: visto che tra i promotori del Forum ci sono diverse case automobilistiche i risultati della ricerca sono stati aggiustati.
“Impossibile: chi paga una ricerca del MIT non ha alcuna influenza sui risultati. E l’evento era organizzato da Unipol che in quanto compagnia di assicurazione ha piuttosto l’interesse a sostenere una soluzione che riduce moltissimo gli incidenti stradali e la loro gravità”.
E’ quello che lei afferma nella prima slide della sua presentazione: le 40 città europee a 30 chilometri orari hanno registrato “una forte riduzione degli incidenti (23%), della mortalità (37%), e dei feriti (38%)”. Basterebbe questo per dire che sono un toccasana.
“Ma c’è di più. Noi stessi, in un’altra ricerca, abbiamo dimostrato che l’introduzione delle Zone 30 a Parigi ha impattato positivamente l’attività pedonale ed economico-sociale delle strade coinvolte. Ha reso quelle aree della città più vibranti, più vive. E’ tornata la vita di quartiere”.
Con i dati reali, cioè tratti dalle auto circolanti e forniti da Unipol, avete studiato gli effetti su Milano.
“?Il nostro studio a Milano, che usa i big data in maniera innovativa, si è concentrato sulla predizione dei tempi di percorrenza: analizzando oltre 3.4 milioni di viaggi si vede che i tempi di percorrenza aumentano in maniera irrisoria (appena 34 secondi nello scenario più drastico, di riduzione del limite su tutte le strade residenziali e terziarie del territorio comunale). Le Zone 30 non hanno quindi un impatto negativo dal punto di vista dei tempi di percorrenza”.
Quindi: 34 secondi in più in media per ogni viaggio in cambio di una riduzione della mortalità del 37 per cento: ce lo possiamo permettere.
“Sì. E poi c’è il dato sulle emissioni che riporta un leggero incremento – ma irrisorio – per quanto riguarda CO2 e PM nelle Zone 30”.
Perché le emissioni dovrebbero aumentare?
“Perché gli attuali motori sono progettati per avere una maggiore efficienza attorno ai 50 chilometri orari. Ma la verità è che le zone 30 scoraggiano l’uso dell’auto e favoriscono le biciclette e la scelta di andare a piedi e quindi le emissioni totali sono destinate a diminuire”.
Diciamolo una volte per tutte, anche per quelli che non vogliono capire: cosa avete scoperto?
“L’interpretazione corretta dei dati è: l’aumento delle emissioni è insignificante e peraltro le emissioni, man mano che si riduce l’uso delle automobili, scenderanno. E i tempi di percorrenza sono praticamente costanti. Le code non esistono. Sono due ottimi motivi per fare le zone 30 e non il contrario. Ma questi due dati sono diventati: la città a 30 chilometri orari aumenta code e inquinamento. La verità è che non c’è nulla di negativo nelle zone 30 e ci sono anzi molti aspetti positivi”.
Quindi il suo consiglio è fare le zone 30 ovunque?
“Non ovunque. Anzi, adesso con l’intelligenza artificiale vogliamo analizzare dove i limiti sono giusti e dove invece sono sbagliati. Sono controproducenti. Stiamo studiando la possibilità di limiti dinamici, magari in base alle fasce orarie della giornata. E a Parigi stiamo usando l’intelligenza artificiale visuale per studiare delle modifiche alla configurazione delle strade che inducano automaticamente uno stile di guida diverso. Senza bisogno di autovelox”.
La ricerca è finita?
“I dati sono quelli che ho menzionato. L’analisi sarà oggetto di revisione paritaria in ambito scientifico nei prossimi mesi. Poi saranno disponibili i risultati definitivi”.
Cosa le insegna questa vicenda?
“Che in questo mondo bianco e nero, così polarizzato, un concetto appena più elaborato come quello che abbiamo provato ad esprimere noi, una cosa che richiede un ragionamento che va oltre il numero dei caratteri di X/Twitter e che implica quattro pensieri collegati, non viene colta, non passa. E’ come se la gente non vedesse la sottigliezza ma soltanto quello che vuole vedere, rovesciando il senso del messaggio. La prossima volta dovremo essere più bravi a spiegarci”.