L’Italia insegna che la plastica si può riciclare, ma servono investimenti mirati per aumentare i volumi, soprattutto al Sud. Di recente un report dell’Ocse ha lanciato l’allarme sul fatto che, senza freni, l’inquinamento da plastica nel 2060 triplicherà mentre quella riavviata a una seconda vita, a livello globale, è ancora troppo poca: appena il 10%. Due cifre che sottolineano l’importanza di una spinta verso un’economia circolare della plastica: partire dai prodotti che gettiamo nei nostri rifiuti, così come quelli di scarto industriale, sino ad arrivare a nuovi oggetti senza dover più produrre nuova plastica vergine.
Che sia una strada percorribile, quella del riciclo dei polimeri, l’Italia lo sta dimostrando: nel nostro Paese, secondo un rapporto di Assorimap (Associazione Nazionale Riciclatori e Rigeneratori di materie plastiche) realizzato da Plastic Consult, dopo una difficile fase legata alla pandemia, nel 2021 sono stati raggiunti risultati incoraggianti con un fatturato annuo di quasi un miliardo di euro e un +67% rispetto all’anno precedente.
La bottiglia di plastica rigenerata: come funziona il riciclo
La fotografia dell‘industria italiana del riciclo meccanico di plastica, indicato anche nella tassonomia verde Ue come il più sostenibile per il recupero di questo materiale, mostra però ancora troppe differenze fra Nord e Sud.
Riciclo al Nord
In Italia sono circa 350 le aziende, se si escludono quelle di recupero rifiuti urbani, che operano nel settore del riciclo plastico. Quelle invece che concentrano le loro attività sul riciclo meccanico di plastica sono oltre settanta, per un totale di 80 impianti, tutte imprese al centro dell’analisi di Assorimap. La maggior parte di queste aziende, oltre il 70%, si trova al Nord, con Sud e isole dove si svolge appena il 20% del riciclo e nel Centro ancora meno (10%). Fra le regioni nella sola Lombardia si trovano il 40% degli impianti totali. Un divario che secondo gli esperti del settore dovrebbe essere urgentemente colmato.
Di cosa si occupano queste aziende? Di trattare soprattutto alcuni tipi di polimeri riciclabili: al primo posto il polietilene (50% nel complesso), poi il PET (polietilene tereftalato, quello che si usa comunemente per le bottiglie) e polipropilene e misti poliolefinici intorno al 10%. Questi polimeri vengono recuperati dagli scarti per dar vita a nuovi prodotti: la base di partenza per la filiera – per oltre il 70% – è soprattutto rappresentata dai rifiuti urbani che arrivano grazie alla raccolta.
Un percorso circolare
Dalla raccolta si passa poi al processo della selezione, quello che permette di dividere i vari tipi di plastica in base alla composizione, poi si va alla macinazione (in granuli o scaglie) e al processo di riciclo, sino alla trasformazione e alla successiva vendita e, una volta post-consumo, il “giro” ricomincia.
Questo percorso circolare porta prodotti a due principali settori di quelle che vengono chiamate le “materie prime seconde”: uno sono gli imballaggi rigidi e gli articoli casalinghi e per il giardinaggio, l’altro i prodotti destinati al comparto edilizia e costruzioni.
La crescita del valore di questi prodotti riciclati – spiega il report – è dovuta sia all’aumento dei volumi sia all’incremento del prezzo di vendita. “I volumi totali nazionali in output dei riciclatori meccanici si sono attestati lo scorso anno a circa 800mila tonnellate, con un tasso di crescita del 17% rispetto al 2020” si legge nell’analisi. Per aumentare ulteriormente il riciclo però, spiegano gli esperti, andrebbero implementati gli impianti al Sud e al tempo stesso accresciuto il tasso di recupero.
“È necessario promuovere una maggiore circolarità della materia, aumentando i tassi di riciclo. Obiettivi che, come Assorimap, auspichiamo vengano perseguiti tramite specifiche iniziative in grado di agevolare le produzioni ecosostenibili di beni e imballaggi e, soprattutto, a partire da un maggiore sviluppo impiantistico. Il riciclo della plastica rappresenta un’eccellenza italiana e un patrimonio industriale che occorre tutelare certamente più di quanto sia avvenuto con il Pnrr che non ha valorizzato tutte le potenzialità del settore” spiega Walter Regis, presidente di Assorimap.
A questo, sostiene Paolo Arcelli direttore di Plastic Consult, andrebbe affiancata anche “una normativa a livello nazionale che prescriva quantitativi minimi di riciclati (come ad esempio per le bottiglie PET nella direttiva Sup) e che potrebbe davvero fare da volano per una crescita armonica del settore”.