Fuga da Vulcano. “Messaggio di test. Allarme eruzione imminente. Portarsi a centro raccolta previsto da piano comunale emergenza”. I residenti e chi dovesse trovarsi sulla piccola isola delle Eolie riceveranno oggi una comunicazione come questa sullo schermo di ogni dispositivo cellulare agganciato alle celle di quella zona, durante l’esercitazione di evacuazione della Protezione civile. Sarà il primo test sul campo di IT-Alert, il servizio nazionale di allerta che avvisa la popolazione di eventi avversi che potrebbero verificarsi a breve o che, in breve tempo, possono mettere a rischio l’incolumità delle persone. Come maremoti, alluvioni, eruzioni o disastri ambientali.
“IT-Alert informerà i cittadini sull’esercitazione in corso e sulle norme di comportamento da adottare attraverso l’invio di messaggi sugli apparati cellulari presenti sull’isola di Vulcano” scrive la Protezione civile sulla pagina dedicata all’esercitazione. Presto, quanto ancora non è dato saperlo, dovrà essere disponibile in tutta Italia, come già fanno diversi Paesi. La tecnologia è quella del cell broadcast.
Come funziona il sistema di allerta
In sintesi: la centrale operativa invia un messaggio (di massimo 93 caratteri, ma è possibile concatenare più messaggi insieme) alle celle telefoniche di un’area selezionata gestite dagli operatori mobile. Il testo (che non è un sms) arriva automaticamente a tutti i cellulari agganciati in quel momento alle celle selezionate, così da allertare solo chi si trova effettivamente nell’area interessata da una imminente catastrofe.
La privacy non è un problema
Un servizio di questo tipo, che non contempla problemi di privacy perché non utilizza un database di numeri di cellulare come per gli sms, è già in uso in diversi Paesi europei (genericamente si chiama Eu-alert) in applicazione la direttiva Ue 1972 del 2018. Ci sarebbe l’obbligo dell’entrata in piena funzione a livello nazionale entro il 21 giugno 2022, tuttavia è difficile che l’Italia riesca a rispettare l’impegno, per stessa ammissione della Protezione civile. Ci sono infatti ancora da sistemare alcuni problemi, tra cui quello della cybersecurity.
Il progetto lanciato nel 2018
Era il 16 novembre 2018, durante il Festival della Meteorologia di Rovereto, l’allora capo della Protezione civile, Angelo Borrelli, annunciava l’arrivo di it-Alert. Si era all’indomani della tempesta Vaia, che aveva steso milioni di alberi tra Trentino e Veneto. Il nuovo sistema avrebbe dovuto essere operativo entro “un anno o al massimo un anno e mezzo”. La Protezione civile ha stanziato almeno 4,5 milioni di euro per lo sviluppo del sistema, affidandolo alla fondazione Cima con 1,5 milioni all’anno per il 2019, 2020 e 2021.
Non ancora a prova di hacker
IT-Alert è passato attraverso a una fase di sperimentazione iniziata nel 2020 con test sulla piattaforma Telegram per verificare “l’effettiva comprensione del messaggio e dei comportamenti da adottare”. Poi se ne erano perse le tracce. Ora sappiamo che sarà messo alla prova proprio sabato 9 aprile. “Anche se il sistema IT-alert è inserito nel perimetro di sicurezza nazionale cibernetica, allo stato attuale non risponde ancora del tutto ai requisiti richiesti. A causa di questa potenziale vulnerabilità, che richiede ulteriori interventi, strutturali e non, che saranno realizzati nei prossimi mesi, IT-alert rimane al momento in uno stato sperimentale” si legge sul sito di IT-Alert, da poco ripristinato (fino a qualche giorno fa, se si provava a cliccare su qualsiasi sezione, appariva lo stesso messaggio provvisorio). Si tratta di uno strumento molto potente, che permette di raggiungere tutti i dispositivi di una certa zona (o volendo anche di tutta Italia) contemporaneamente. Quindi bisogna assicurarsi che sia a prova di hacker.
Cosa prevede la normativa Ue
La stessa direttiva Ue, in alternativa al sistema di trasmissione di allarmi ai dispositivi mobili, concede che gli allarmi pubblici siano trasmessi “tramite servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico diversi” attraverso app, radio e tv “a condizione che l’efficacia del sistema di allarme pubblico sia equivalente in termini di copertura e capacità di raggiungere gli utenti finali”. Chi valuterà questo? Il Berec (Organismo dei regolatori europei delle comunicazioni elettroniche) ha emanato linee guida per il rispetto di queste condizioni (qui il documento da scaricare in .pdf).
Nel resto del mondo
Alcuni Paesi europei hanno già un sistema di allerta basato sulla tecnologia cell broadcast, come la Romania (RO-Alert). L’Olanda utilizza NL-Alert da ben dieci anni. Fuori dall’Unione europea lo usano il Canada, Israele e gli Stati Uniti, solo per fare alcuni esempi. L’Onu, di recente, ha richiamato la necessità di avere un sistema di allerta di disastri imminenti per tutti i cittadini del mondo entro cinque anni. Nella lotta ai cambiamenti climatici, è la strategia della adaptation, cioè prevenire gli effetti di eventi meteo sempre più estremi e sempre più frequenti alimentati proprio dal riscaldamento globale. Ma che può essere applicata anche a disastri che nulla o poco hanno a che fare direttamente con il global warming, come per esempio gli tsunami causati dai terremoti sottomarini, disastri a impianti chimici che possono avvelenare l’aria di una certa regione o l’eruzione dei vulcani. O magari eventi straordinari che possono creare problemi di sicurezza pubblica. Un po’ come successe nel 2005, quando per i funerali di papa Giovanni Paolo II arrivarono gli avvisi della Protezione civile, via sms.
Le criticità da risolvere
La Protezione civile fa sapere che, oltre alla sicurezza informatica, restano ancora due “criticità” da risolvere: “L’ambito di operatività del sistema pubblico di allarme e la definizione della governance del sistema”. In sostanza: tutti gli utilizzi che se ne possono fare e, pare di capire, chi dovrà materialmente dare l’ok per premere il tasto “invio” del messaggio. C’è in più un’altra questione ancora non chiara: ricevuto il messaggio che la mia zona sta per essere allagata, dove mi rifugio, dov’è il centro di raccolta più vicino e sicuro? Questo riguarda la, annosa, questione dei piani comunali di emergenza, che tutti i Comuni dovrebbero avere ma, soprattutto, tutti i cittadini dovrebbero conoscere. E non è sempre così.