La biodiversità ha un profumo specifico per ogni area naturale. Dipende dalle piante che crescono e non solo. Molti di questi aromi vegetali rischiano di svanire per sempre con il cambiamento climatico. Oltre ai programmi di conservazione botanica, indispensabili per la sopravvivenza di alcune specie, questi paesaggi olfattivi in costante mutamento si possono cristallizzare in essenze che ne rispecchiano in qualche modo l’identità temporanea. Ne nascono iniziative sperimentali come quelle del Parco nazionale Gran Paradiso che in occasione del centenario della fondazione presenterà una sorta di arca dei suoi profumi endemici. Fragranze di praterie di alta quota e morene glaciali ma sia chiaro, non si tratta di prodotti in vendita. La ricerca sull’impronta aromatica del Parco è stata promossa all’interno del progetto europeo Biodiv’Alp per proteggere e valorizzare gli ecosistemi delle Alpi occidentali. Un’esperienza analoga a questa, ma che si è trasformata poi in un’avventura imprenditoriale, è quella del profumo derivato dalle foreste vetuste del coevo Parco nazionale d’Abruzzo.
Per tracciare il profilo e sviluppare i primi campioni di questo bouquet aromatico il Gran Paradiso si è affidato al MÚSES – Accademia europea delle essenze di Savigliano, un progetto culturale dell’associazione dei comuni Le Terre dei Savoia per valorizzare le erbe officinali e le relative tecniche di trasformazione. Ne è emerso un profumo balsamico, glaciale ma selvaggio. L’identikit olfattivo nasce sia da una ricerca dal basso in cui sono stati interpellati gli operatori del Parco e le comunità locali mentre le dieci piante principali sono state selezionate dall’Università di Torino.
Dieci piante e i loro pofumi
Nella lista, anche se la formula finale rimane comunque segreta, ci sono l’imperatoria (Peucedanum ostruthium), endemica dell’Europa meridionale e ingrediente storico delle preparazioni officinali. Non può mancare la rosa delle Alpi (Rhododendron ferrugineum), che malgrado il nome è un rododendro delle brughiere alpine, o una rosa vera e propria (Rosa pendulina), un relitto glaciale che si è rifugiato in alta montagna e una delle poche specie di questo genere che ancora cresce allo stato selvatico in Italia.
Tutte queste aromatiche sono in ambienti delicati, dove l’aumento delle temperature si fa sentire più che altrove. “Non poteva poi mancare anche Artemisia umbelliformis da cui si ricava il famoso liquore genepy – spiega Elena Cerutti, direttore dell’associazione – In questo caso, anche se non è nell’elenco delle dieci piante l’abbiamo utilizzata per sviluppare campioni di sali da bagno. Tutte le materie prime sono state raccolte nell’area con l’autorizzazione del Parco e in alcuni casi sono state trattate nel nostro laboratorio con la tecnica naturale di essicazione a freddo”.
L’impronta olfattiva del Gran Paradiso, tradotta per il momento in prototipi di diffusori per ambienti e prodotti cosmetici, non si limita a queste dieci piante ma ne abbraccia l’intera l’identità ambientale. “Il 50% dell’area protetta si sviluppa oltre i 2.500 metri – spiega Andrea Mainetti dell’ufficio botanico del Parco nazionale – A queste quote crescono le piante più minacciate come Trifolium saxatile, un trifoglio protetto che in Italia è presente solo nel Parco e in un perimetro ristretto delle Dolomiti. Contrariamente a molte specie che vivono in altitudine, non è perenne ma fiorisce e semina ogni anno con un comportamento molto rischioso”. Sulle rupi e nei ripidi ghiaioni detritici che contornano i ghiacciai c’è la biodiversità che non ti aspetti. Come Asplenium adulterinum, una felce a rischio, che predilige un tipo di roccia, chiamate appunto serpentinite, ricca di metalli pesanti, tossici per la maggior parte delle piante. Mentre nelle praterie alpine in autunno si possono trovare ampie popolazioni di Valeriana celtica, una specie abbondante nel Parco ma rara nel resto delle Alpi. Per controllare questo ecosistema il Parco, oltre alle indagine ecologiche su come vengono colonizzati gli spazi lasciati vuoti dai ghiacciai che si ritirano, ha installato una serie di fotocamere fisse che registrano periodicamente il fenomeno dell’ingiallimento delle praterie alpine dovuto al riscaldamento globale.