Il conflitto Ucraina-Russia e le centrali nucleari

L’esercito russo, dopo aver preso il controllo del sito nucleare di Chernobyl lo scorso 24 febbraio, ha occupato anche il territorio in cui sorge la seconda centrale più grande d’Europa. Si tratta di Zaporizhzhia, nel Sud del Paese, sede di 6 reattori progettati e costruiti dall’ex Unione Sovietica. Questa copre il 25% del fabbisogno energetico dell’Ucraina: il restante 30% di energia elettrica prodotta da fissione nucleare è suddiviso su altre 3 centrali, ossia Pivdennoukraïns’ka (non distante da Zaporizhska), Khmelnitski e Rivne.

Nell’ultimo sito occupato dalle truppe di Putin, nelle scorse ore è scoppiato un incendio a causa degli scontri, per fortuna subito domato, e senza aver causato l’aumento del livello di radiazioni nell’area di Zaporizhska. L’allerta però è massima, così come la preoccupazione di una nuova Chernobyl, anzi “10 volte peggio” della catastrofe del 1986, come affermato dal governo di Kiev.

Chernobyl e Zaporizhska

Chernobyl è il sito di 4 reattori nucleari, tre dei quali furono dismessi dopo la storica esplosione del quarto nel 1986. Quel reattore è ora protetto da un “guscio” interno di cemento e da uno esterno da 32 mila tonnellate. Il combustibile nucleare esaurito degli altri reattori è ancora stoccato nel sito, insieme ai rifiuti radioattivi delle apparecchiature contaminate. Le radiazioni attualmente non rappresentano un rischio per l’uomo. 

Le radiazioni e i rischi

Durante la fusione del 1986, infatti, decine di elementi radioattivi sono stati lanciati nell’aria, alcuni dei quali considerati i più pericolosi per la vita, tra cui gli isotopi Iodio 131, Stronzio 90, Cesio 134 e Cesio 137; proprio gli isotopi di Stronzio e Cesio hanno “un’emivita abbastanza lunga da indugiare ancora nel sito”, secondo l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea). La stessa Agenzia, nei giorni scorsi, ha evidenziato un aumento delle radiazioni sul posto, che con ogni probabilità è stato causato dallo spostamento di terreno e polvere per via dall’avanzare delle truppe di Putin.

Oggi non è presente nemmeno un grammo di Iodio 131; il Cesio 137 è la metà di quello del 1987: ben poco, ossia ciò che resta una volta che il corium – il materiale che si viene a creare nel nocciolo di un reattore nucleare durante una fusione – è rimasto esposto all’esterno. Il combustibile esaurito, o gli elementi radioattivi utilizzati per alimentare la centrale elettrica, continuano a decadere in elementi più stabili e, così facendo, continuano a rilasciare calore. Questo non è così significativo, a patto che non si verifichino interruzioni del raffreddamento, quindi brecce nella piscina che porta al drenaggio dell’acqua: in quel caso il carburante potrebbe riscaldarsi fino al punto di bruciare. 


La centrale chiusa di Chernobyl e tutte le 4 centrali in attività, per un totale di 15 reattori nucleari, capaci di produrre 13,2 gigawatt (fonte: Aiea), di tipo VVER1000, ossia reattori ad acqua pressurizzata progettati e costruiti dall’ex Unione Sovietica, non furono costruite con l’idea che potessero diventare luogo di scontri militari. Non sarebbero sufficienti semplici armi d’assalto per scoperchiare le cisterne, estremamente resistenti, che richiederebbero invece artiglieria anti-bunker. 

 

Proprio perché lo scenario bellico intorno ai siti non era stato preventivato, in caso di bombardamento non sappiamo con certezza quali potrebbero essere le conseguenze.

 

Secondo un’analisi tecnica di Greenpeace International sulle possibili conseguenze del conflitto per gli impianti nucleari in Ucraina, in caso di bombardamento accidentale o di un attacco deliberato le conseguenze potrebbero essere molto gravi, con impatti su vasta scala peggiori del disastro nucleare di Fukushima nel 2011. I rischi sono legati, secondo l’ong, alla vulnerabilità delle centrali nucleari, della loro dipendenza da un complesso sistema di supporto e del tempo necessario per portare la centrale a un livello di sicurezza passivo.

 

Quel che è certo, è la necessità del monitoraggio costante da parte del personale di queste centrali di vecchia generazione per far sì che tutto funzioni regolarmente.

“Non reputo verosimile la possibilità di bombardare i reattori nucleari di Chernobyl, sia per le ripercussioni dirette sulle truppe russe in azione sul territorio ucraino, sia per gli effetti sull’alleato bielorusso, come dimostrato in occasione dell’incidente occorso alla stessa centrale nucleare nel 1986. Al momento, se non la ragionevole preoccupazione, non sono registrati variazioni nei rischi da esposizioni da radiazioni ionizzanti, e l’Aiea, in linea con il proprio mandato, sta monitorando da vicino gli sviluppi in Ucraina con un’attenzione particolare alla sicurezza delle sue centrali e di altri impianti nucleari”, spiega Wolfango Plastino, fisico e professore dell’Università di Roma 3 e membro del Gruppo consultivo permanente per l’Assistenza Tecnica e la Cooperazione dell’Aiea.

Le centrali e la rete elettrica ucraina

In caso i russi spegnessero le centrali, senza arrivare al bombardamento, più di mezza Ucraina resterebbe al buio. Già solo l’arresto di quella di Zaporizhzhia creerebbe gravi danni. Olexi Pasyuk, esperto di energia della Ong Bankwatch durante un collegamento con i giornalisti organizzato dal Climate Action Network, ha affermato che “staccare solo un reattore dalla rete può provocare immediata perdita di potenza nel sistema elettrico ucraino”, il quale continua a funzionare isolato, disconnesso da quello russo e in attesa della connessione con quello europeo.

Nelle ultime ore, inoltre, la centrale elettrica di Okhtyrka, vicino al confine Nord del Paese, è stata distrutta dagli occupanti con un attacco aereo: la città è al momento senza luce e riscaldamento.