Il fatto che la Commissione europea metta insieme, nei sui provvedimenti in materia di agricoltura e ambiente, la difesa della natura e la riduzione dell’uso dei pesticidi non è da trascurare perché è un percorso culturale importante ma non scontato. Significa, in qualche modo, riconoscere che se si continua a mantenere l’approccio disinvolto nell’uso dei pesticidi, a poco serve parlare di protezione della natura, di difesa degli ecosistemi e di ripristino di aree naturali. Approvare, dunque, il pacchetto natura per il consolidamento della protezione ambientale e, contestualmente, la proposta di riduzione del 50% dell’uso dei pesticidi entro il 2030 sta lasciando il segno.
L’ambiente in cui viviamo è interconnesso, senza confini politici né territoriali. Se io spruzzo pesticidi nei campi coltivati, una parte di quei pesticidi finirà nel suolo e vi rimarrà per lungo tempo, una parte finirà nelle acque e potrà anche camminare nel sottosuolo per finire in aree anche molto lontane da quella di applicazione. Una parte, invece, influirà sul sistema nervoso degli insetti utili causando la riduzione della biodiversità e dei servizi ecosistemici.
Insomma, si tratta di una serie di eventi non immediatamente visibili ma, oggi, di assoluta evidenza scientifica. Lo ha dimostrato la campagna Cambia la terra, coordinata da Federbio, insieme a Isde, Legambiente, Lipu, Slow Food Italia e Wwf, e con il patrocinio di Ispra (Istituto per la protezione dell’ambiente del Mite). Lo studio ha messo in evidenza, attraverso campionamenti e analisi, che i suoli delle coltivazioni gestite attraverso l’uso di pesticidi ed erbicidi hanno una diffusa presenza di residui che influiscono negativamente sulla rete di microrganismi che contribuiscono a mantenerne la fertilità. In alcuni suoli, poi, è stato finanche rinvenuto il Ddt con i suoi metaboliti secondari, a dimostrazione che, dopo oltre quarant’anni dal divieto d’uso, questa molecola mostra ancora persistenza nei suoli in cui è stata utilizzata. Non credo che ci sia un solo cittadino contento di sapere che nel suolo e nelle acque del nostro Paese si addensano pericoli così nascosti e temibili, in grado di influenzare nel tempo la capacità produttiva dei suoli e la qualità delle acque.
Eppure, una delle prime reazioni all’azione politica della Commissione europea è stata proprio la levata di scudi sul fatto che le alternative ai pesticidi chimici sono a oggi molto più costose. Al punto che dall’Europa giungono anche ipotesi di sostegno finanziario per compensare la fase di assestamento nella prima applicazione delle nuove norme. Si potrebbe pensare che questo sia il passo giusto per sostenere un pezzo della transizione ecologica, ma c’è un tema che probabilmente andrebbe affrontato più a fondo ed è quello del costo ambientale che mai entra nei bilanci delle aziende. Fino a che non si calcolano le esternalità negative tutti i conti sono inutili e soprattutto non veritieri.
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Cosa vuol dire oggi produrre senza applicare modelli di sostenibilità basati sui principi dell’agroecologia? Significa certamente lasciare un’impronta ecologica più o meno marcata, talvolta indelebile, quasi sempre a carico delle future generazioni, che non è un termine astratto ma significa a carico dei nostri figli e dei nostri nipoti. Questa impronta non la paga nessuno oggi, la pagheranno altri e questo approccio finisce per mettere in secondo piano il costo ambientale e a non includerlo nei bilanci. Se oggi se ne tenesse conto in modo concreto, forse la transizione ecologica sarebbe anche più naturale e non richiederebbe immediatamente le compensazioni, che hanno spesso il sapore di un contentino per l’agroindustria che continua a operare nell’ottica della massimizzazione del profitto a tutti i costi.
Oggi gli agricoltori biologici continuano a investire economicamente per certificare la propria scelta auspicando nelle programmazioni di sviluppo rurale per essere sostenuti in questa scelta, mentre chi persevera nell’uso della chimica di sintesi, che determina una concreta impronta ecologica e l’inquinamento di suoli e acque, non è chiamato a pagare un costo ambientale. Anzi, se si vede imposto un modello più sostenibile, chiede le compensazioni. Probabilmente dovremmo cominciare a cambiare prospettiva ma la strada è davvero in salita, soprattutto in un periodo in cui le speculazioni sono sempre in agguato e in ogni condizione di instabilità prendono il sopravvento.