KUC (ALBANIA) – Lungo la costa, tra hotel e strutture che spuntano come funghi, accenti italiani e menù con “karbonara” abbandonati su lettini a due passi dal mare, la calda cittadina di Himara boccheggia tranquilla in un normale pomeriggio di metà luglio. Nessuno, nel cuore del turismo di massa del sud dell’Albania, ha idea di cosa stia succedendo alle spalle, fra i monti e le colline della valle di Shushica. Lassù, nell’entroterra a pochi chilometri dal mare, gli anziani dei villaggi si stanno radunando su un antico ponte nei pressi di Kuc come ennesimo atto di resistenza: “Basta – urlano a gran voce – a Himara hanno già il mare, perchè ora vogliono rubarci anche la nostra acqua?”.
Quella che si sta consumando nell’Albania da 10 milioni di turisti l’anno, dove tutto cresce in fretta con offerte dal sapore sempre più europeo, è una battaglia che fa parte della guerra per l’acqua, dello scontro in ascesa fra modelli diversi: il turismo di massa e la crescita continua contro l’eco turismo e i ritmi rurali lenti, il business a tutti i costi contro i disperati sforzi per conservare ciò che ancora di intatto è rimasto.
Un Parco nazionale per l’ultimo fiume selvaggio d’Europa
Nel marzo del 2023, celebrata in pompa magna – con tanto di articoli su tutti i giornali del mondo e dopo i post di sostegno perfino di Leonardo Di Caprio – l’Albania festeggiava una storica vittoria dopo anni di battaglie: la nascita del primo Parco nazionale fluviale selvaggio d’Europa per proteggere uno degli ultimi fiumi incontaminati e privi di barriere artificiali del Vecchio Continente, il fiume Vjosa.
Quasi 500 chilometri di fiume e affluenti, dalla Grecia sino all’Adriatico, dove l’acqua scorre ancora selvaggia e priva di elementi artificiali creando un ecosistema unico e ricchissimo, con oltre 1100 specie diverse, in un luogo fondamentale per la vita di sessanta villaggi custodi di tradizioni e territori. La sola istituzione da parte del governo del Parco nazionale fluviale – come chiedevano le campagne lanciate da conservazionisti, associazioni come EcoAlbania, River Watch o marchi come Patagonia con la campagna Save The Blue Heart – doveva essere la garanzia che quel posto non sarebbe mai più stato toccato. Per questo anche loro, come tutti, hanno festeggiato brindando, prima di scoprire altro.
L’arrivo improvviso dei tubi blu
Abbassati i bicchieri, pochi mesi mesi dopo le celebrazioni, ammassati in uno spiazzo che ormai tutti chiamano “depo”, il deposito, nella valle di Shushica sono comparse le ruspe e dei giganteschi tubi blu. Prima dell’istituzione del parco nazionale infatti era stato approvato (anche se con critiche sulla mancata consultazione della popolazione locale e su un piano di Valutazione ambientale incompleto), un progetto per prelevare l’acqua dalla sorgente del fiume Shushica, uno degli affluenti del Vjosa, con lo scopo di portarla sulla costa alle piscine, gli hotel, le ville e le strutture utili all’ascesa del turismo di massa a Himara. Quest’area a sud di Valona si espande infatti molto rapidamente, con anche complessi di lusso, e per garantire le grandi ambizioni economiche future ha ovviamente bisogno di acqua dolce che scarseggia. Acqua che arriverebbe grazie a una pipeline di quasi 17 chilometri e dal costo totale di 15 milioni di euro, fatta di tubi blu interrati nella valle alle spalle della cittadina, tubi che dovrebbero condurre l’oro blu dalla sorgente dello Shushica direttamente a Himara.
Un progetto – quello che si pensava fosse stoppato vista l’istituzione del Parco nazionale – che vede coinvolto il governo albanese, i tedeschi di Kfw, l’Ue come Western Balkans Investment Framework e Bashkimi Europian, mentre i lavori di costruzione sono svolti dall’austriaca Strabag, che ora è al centro di un contenzioso legale fra le comunità della valle (difese da ResPublica) e i vari attori promotori dell’impianto. Per i residenti dell’area dove scorre lo Shushica, uno dei principali affluenti del fiume Vjosa, la grande pipeline potrebbe infatti sconvolgere per sempre la vita delle persone e i delicati ecosistemi del fiume.
Non solo: secondo Ulrich Eichelmann di River Watch, obbligherebbe oltretutto a dover escludere Shushica dal parco nazionale appena nato, togliendo di conseguenza quelle protezioni e quelle iniziative, per esempio di ecoturismo, che stanno nascendo per mettere al centro la conservazione e il rispetto della natura. Così, in piena estate, il biologo Olsi Nika di EcoAlbania ci accompagna proprio alla sorgente dello Shushica. Indica un punto in cui poca acqua sgorga da sotto la montagna e lentamente si fa fiume. Spiega che tra crisi del clima e siccità anche qui la portata negli anni è in costante diminuzione. Se il progetto della “blue pipeline” dovesse andare avanti, deviando di fatto l’acqua della sorgente per accumularla tramite una diga e portarla poi grazie ai tubi sino alla costa, sarebbe “una catastrofe” afferma senza mezzi termini.
“Ma vi rendete conto? Solo poche settimane fa qui hanno trovato quattro nuove specie. Questo luogo è vita, e ora con una piccola diga vogliono accumulare l’acqua permanente alla fonte per poi portarla sempre più a valle al turismo: significherebbe un massacro ecologico e toglierebbe persino quella che serve per l’irrigazione. Per questo siamo qui a combattere”, dice. Di fatto, mentre si continuava a celebrare la proclamazione del Parco nazionale, ruspa dopo ruspa sono stati interrati quasi 12 chilometri di tubi: ne mancano pochi, appena cinque, e poi il progetto sarà concluso.
Attualmente però, come spiega Dorian Matilja, l’avvocato che difende i rappresentanti di quasi cinquanta villaggi, la situazione è in stallo: i giudici non decidono sulle competenze, rimbalzando la palla fra i vari distretti e istituzioni. “Il tempo è poco e temiamo che senza vincoli legali il progetto alla fine sarà ultimato. Siamo in grado di contestare quasi tutti i punti e le posizioni avanzate dal governo albanese, ma per farlo dobbiamo andare in aula”, spiega. Non solo, aggiunge il biologo Nika, è tempo di valutare anche le alternative: “Ci sono ampie fonti d’acqua alternative al di fuori dei confini del Parco nazionale che potrebbero soddisfare le esigenze di Himara, qualora fosse necessario. Pensiamoci”.
Le posizioni. Per il ministro “nessun danno”. Le associazioni: “Falso”
Interpellata sulla questione, dagli uffici della bollente Tirana il ministro del Turismo e dell’Ambiente dell’Albania Mirela Kumbaro sostiene che il progetto abbia tutti i requisiti per proseguire. Spiega che “risale al 2019 ed è finanziato dai tedeschi della Kfw. Sono stati condotti studi approfonditi da esperti albanesi e stranieri per valutare l’impatto ambientale sulla biodiversità. Vorrei però sfatare un fraintendimento di voi media: lo Shushica, come qualsiasi altro fiume, è alimentato da varie fonti e quella che useremo per l’acquedotto non è all’interno del Parco Nazionale. Inoltre il progetto non devia minimamente il flusso del fiume e nel nostro piano di gestione verranno affrontate tutte le questioni sollevate in modo sostenibile, minimizzando o evitando effetti negativi su questo sistema fluviale unico. I residenti dei villaggi si sono lamentati per non essere stati consultati? Non è vero, le udienze pubbliche si sono svolte secondo i requisiti di legge”.
Diametralmente opposta la posizione di River Watch, l’associazione che – sostenuta da Patagonia – insieme ad EcoAlbania è stata fondamentale per l’istituzione del Parco Nazionale. Il fondatore di RW, Ulrich Eichelmann, sostiene che in realtà scienziati stranieri o albanesi citati dal ministro “non sono stati coinvolti nella Valutazione di Impatto ambientale e sociale. La Valutazione fatta era una farsa e non si parla delle conseguenze ecologiche per il fiume Shushica. Chi ha analizzato il rapporto parla di una Valutazione inadeguata e carente. L’affermazione che il progetto non fa deviare alcuna acqua dal fiume Shushica è palesemente contraria ai fatti. Falsa anche la questione consultazione: gli abitanti della valle di Shushica vennero a conoscenza del progetto solo durante la costruzione, quando i macchinari arrivarono a Kuc per costruire una diga”.
La resistenza: “Uniti per proteggere il fiume”
La questione dei “macchinari all’improvviso” la confermano anche i residenti della valle. Siamo in una zona rurale, dove fino a tre anni fa mancavano persino le strade asfaltate. Quest’area del centro sud dell’Albania è una distesa di campi, di capre al pascolo, di rocce e montagne, di volpi e trote, dove tutto è il contrario rispetto alle luci degli hotel sulla costa. Trovare un ristorante ancora aperto a tarda sera è un’impresa, anche i piccoli alberghi a gestione famigliare sono pochi. Qui tutti conoscono tutti: quando sono arrivate le prime ruspe, le hanno subito bloccate.
Le proteste, man mano che venivano fuori i dettagli del progetto, sono continuate poi arrivando fino a Tirana: oltre 1500 residenti che si opponevano al progetto, nell’Albania dove manifestare il proprio dissenso politico non è così semplice e immediato, hanno firmato un tubo blu per poi portarlo in segno di protesta davanti alla sede del governo a Tirana. Non è bastato. Mentre il mondo aveva ancora negli occhi le immagini su social e tg per le celebrazioni del Parco Nazionale, qui gli operai iniziavano a scavare e interrare tubi. Per questo il 12 luglio si sono dati tutti appuntamento sul vecchio ponte di Brataj, a pochi chilometri da Kuc. C’erano i sindaci dei villaggi, i residenti e le famiglie, i rappresentati delle associazioni in difesa del territorio e, dopo un viaggio di 15 ore in auto, è arrivata anche Amela Zukan in rappresentanza delle “donne coraggiose” di Kruš?ica, in Bosnia.
Proprio a Kruš?ica per 500 giorni, 24 ore su 24, un gruppo di donne straordinarie ha occupato un ponte e un’area per impedire la costruzione di una diga idroelettrica che avrebbe sconvolto il loro fiume e la comunità. Una resistenza eroica che è valsa il Goldman Prize, sorta di premio Nobel per l’Ambiente. “Siamo qui per portare il nostro sostegno: uniti, si può vincere. Date spazio alle donne, combattete per il vostro territorio” dice Amela davanti a tutti. E proprio a lei, la sera, in un piccolo spiazzo del paesino di Kuc, dopo la proiezione del film promosso da Patagonia “Save the Blue Heart” che racconta l’importanza dei fiumi in Europa e nei Balcani – tutti corsi ormai devastati dall’impatto massiccio dell’idroelettrico – i residenti della valle di Shushica continuano a fare domande. “Come possiamo fermarli? Cosa dobbiamo fare?” chiedono. “Restate uniti” risponde Amela.
Lentamente, sale nell’aria un nuovo grido: “Kruš?ica, Shushica! Kruš?ica, Shushica!” urlano compatti gli abitanti dei villaggi. E’ un grido per loro, per farsi forza, ma anche un coro da fare sentire ai media: ditelo, ripetono, che il nostro fiume non devono toccarlo. Se il Vjosa è considerato l’ultimo fiume selvaggio d’Europa, il suo affluente Shushica è un degno compare: “Sono 700 anni che questo fiume scorre liberamente, lasciamolo libero di continuare a farlo” dice battagliero Eichelmann.