Se anche solo il 50% delle rinnovabili oggi sulla carta arrivasse al termine del tortuoso iter autorizzativo, se la metà dei progetti presentati diventassero realtà, l’Italia avrebbe di fatto già compiuto la tanto ambita transizione energetica. Il fotovoltaico e l’eolico oggi in lista d’attesa sarebbero più che sufficienti a soddisfare il fabbisogno di energia pulita, abbattendo le emissioni secondo i parametri europei, senza dover tirare in ballo il nucleare o prolungare la vita dei combustibili fossili, a cominciare dal gas naturale. La denuncia arriva dal rapporto di Legambiente “Scacco matto alle fonti rinnovabili”, appena pubblicato. Ma ancor più dai dati aggiornati forniti da Terna, la società che gestisce la rete elettrica nazionale e che rappresenta un osservatorio privilegiato, visto che chiunque voglia produrre energia deve prima essere autorizzato a distribuirla.
Il dato di partenza è il seguente: per centrare l’obiettivo della transizione energetica il nostro Paese dovrà installare entro il 2030 80 GW di rinnovabili, con una media di 8 GW l’anno nel decennio a venire (anche se il 2021 ce lo siamo giocato installando appena 1 GW). La cosa straordinaria, come mostrano i numeri di Terna, è che a fine ottobre scorso erano pervenute richieste di autorizzazione per impianti eolici e solari sulla terraferma (on shore) pari a 130GW, cui vanno sommati 22,7 GW di richieste per pale eoliche da mettere in mare (off shore). Dunque un totale di oltre 150 GW richiesti, quando ce ne basterebbero 80. Non solo: Terna ha anche già dato il parere positivo all’allaccio alla rete elettrica per la maggior parte degli impianti proposti. L’85% (pari a circa 110 GW) per l’on shore e il 75% (circa 17 GW) per l’off shore hanno infatti ottenuto il via libera.
Infine, un dato che sembra smentire quanti ritengono che negli ultimi anni le aziende delle rinnovabili, scoraggiate dalla burocrazia italiana, abbiamo preferito investire all’estero: dal 2018 a oggi le richieste di connessione sono cresciute del 297%. E solo nei primi dieci mesi del 2021 sono pervenute al gestore della rete ben 1439 nuove domande (974 per impianti fotovoltaici, 465 per pale eoliche).
Il problema è che l’ok di Terna rappresenta solo l’inizio di un percorso a ostacoli. Quando infatti una azienda si candida alla realizzazione di un parco eolico o fotovoltaico chiede innanzitutto la possibilità di connettersi alla rete, poi parallelamente avvia il resto dell’iter autorizzativo. Ed è in questa seconda parte del cammino che si nascondono insidie tali da decimare i progetti e rallentare per anni da realizzazione di quelli superstiti.
“A mettere sotto scacco matto le rinnovabili sono normative obsolete, la lentezza nel rilascio delle autorizzazioni, discrezionalità nelle procedure di Valutazione di impatto ambientale, blocchi da parte delle sovrintendenze, norme regionali disomogenee tra loro a cui si aggiungono contenziosi tra istituzioni. E, la poca chiarezza è anche causa delle opposizioni dei territori che devono districarsi tra regole confuse e contraddittorie“, si legge nel rapporto di Legambiente. Spesso il risultato, nota l’associazione, è che i tempi medi per ottenere l’autorizzazione alla realizzazione di un impianto eolico si attestino intorno ai 5 anni, contro i 6 mesi previsti dalla normativa. Poi magari ne occorrono altri due per la costruzione vera e propria di una centrale che rischia di essere obsoleta, essendo stata concepita quasi un decennio prima.
Un caso esemplare è quello del parco eolico di San Bartolomeo in Galdo (Benevento). Dopo un lungo iter che ha portato all’approvazione dell’infrastruttura, l’azienda ha proposto di utilizzare aerogeneratori di ultima generazione, più alti e più potenti, riducendone il numero da 16 a 3. Ma la locale Soprintendenza si è opposta: bisognerà valutare come le nuove torri incideranno sul paesaggio. Quindi, paradossalmente, si realizzano le 16 pale approvate e non la soluzione a minor impatto paesaggistico.