Nonostante diminuisca di anno in anno l’impiego dei pesticidi, l’Italia continua a registrare un utilizzo ancora significativo di molecole chimiche di sintesi in agricoltura. A fotografare la situazione, è il nuovo dossier Stop Pesticidi 2021, realizzato da Legambiente in collaborazione con Alce Nero, che ha preso in considerazione i dati del 2020 di 2.519 campioni di alimenti di origine vegetale, includendo anche i prodotti derivati da apicoltura, pur se non appartenenti propriamente alla categoria, di provenienza italiana ed estera.
Solo l’1,39% di campioni analizzati sono risultati irregolari, cioè con principi attivi oltre le soglie consentite, ma solo il 63% è regolare e senza residui di pesticidi. Resta quindi un 35% di campioni regolari ma contenenti uno o più residui di pesticidi, seppur nei limiti di legge. In tutto sono state rilevate 97 sostanze attive differenti: un campione di pere con 12 residui, uno di ciliegie con 10, uno di prugna con 9, quest’ultimo considerato irregolare a causa del superamento dei limiti imposti (deltamethrin) e per utilizzo di sostanze non autorizzate (dimethoate e omethoate).
Frutta e verdura
In linea con il trend degli anni passati, la frutta si conferma la categoria in cui si concentra la percentuale maggiore di campioni regolari con uno o più residui, osservando come nel 53,59% dei casi sono presenti tracce di almeno una sostanza attiva. In questa categoria, gli alimenti che presentano una maggior presenza di fitofarmaci sono l’uva da tavola (85,71%), le pere (82,14%), le fragole (71,79%) e le pesche (67,39%). Questi sono anche i prodotti a maggior contenuto di multiresiduo, che rappresentano rispettivamente il 64,29%, 71,43%, 55,13% e 54,35% dei campioni analizzati. Le maggiori irregolarità sono descritte da campioni di agrumi (3,47%), piccoli frutti (4,44%) e frutta esotica (3,13%).
Nella verdura si osserva una maggior quantità di alimenti regolari senza residui (73,81%), con solo poche tipologie che presentano elevate quantità di fitofarmaci come pomodori (60,20%) e peperoni (48,15%) che risultano tra i più colpiti. Nonostante sia rappresentata da una discreta percentuale di prodotti non contaminati da alcun tipo di pesticida, questa categoria è quella che contiene il maggior numero di irregolarità (1,70% dei campioni totali appartenenti alla suddetta), con campioni di peperoni che addirittura raggiungono il 7,41% tra quelli analizzati. Tra gli alimenti trasformati, invece, il vino e il miele sono quelli con maggior percentuali di residui permessi, contando rispettivamente circa il 39,90% e il 20%.
Pesticidi
I pesticidi più abbandonati sono in prevalenza fungicidi e insetticidi, in particolare, in ordine decrescente: boscalid, acetamiprid, metalaxil, fludioxonil e dimethomorph. Degna di nota è la presenza di residui di thiacloprid rinvenuti su campioni di miele (2 campioni), lamponi, melograno, mirtilli, mele (5 campioni), pere, pesche (2 campioni) e tè verde, così come tracce di imidacloprid sono state rinvenute in campioni di peperoni e tè verde.
Queste due sostanze attive sono particolarmente pericolose per la salute delle api e il loro impiego non è più consentito dai regolamenti CE 2020/23 (thiacloprid) e CE 2020/1643 (imidacloprid) la cui data di entrata in vigore potrebbe aver permesso l’accettabilità dei campioni. Nonostante la presenza totale di campioni non autorizzati sia bassa, sono state osservate irregolarità nelle categorie ortofrutticole. La causa è da attribuire principalmente al superamento del limite massimo di residuo per tutti i campioni considerati dove il dimethoate rappresenta la sostanza con maggiori irregolarità.
Fitofarmaci
I dati raccolti nel dossier evidenziano con chiarezza un aspetto, la presenza di fitofarmaci è ancora troppo diffusa negli alimenti italiani ed europei. Come è stato evidenziato nel rapporto, in alcuni campioni alimentari sono addirittura state rinvenute sostanze altamente tossiche. Tra queste, continua a comparire il chlorpyrifos-methyl, il cui utilizzo è stato finalmente vietato nel 2020 dall’Unione europea, ma che l’Italia continua ad adoperare per contrastare gli effetti della cimice asiatica, chiedendo specifiche deroghe per coltivazioni più a rischio, tra cui melo, pero, pesco, nettarine, noce e nocciolo.
Sono state, inoltre, rinvenute tracce della sostanza attiva thiophanate-methyl, messa al bando a seguito delle perplessità sollevate da Efsa in merito a lacune nei dati forniti per la valutazione. Riflettori accesi anche sulle tracce di mancozeb, un fungicida ad ampio spettro che causa effetti tossici per la riproduzione e per il sistema endocrino degli esseri umani a causa delle stime di esposizione non alimentare che superano i valori di riferimento per gli impieghi nei pomodori, nelle patate, nei cereali e nelle viti. Ciò, qualora ce ne fosse stato bisogno, conferma il fatto che la tutela della salute e la sicurezza dei lavoratori impiegati nelle attività di produzione non sono sempre rispettate.
Situazione in Europa
Analizzando nel dettaglio i numeri europei sull’utilizzo di pesticidi in ambito agricolo, a farla da padrone sono fungicidi e battericidi (40%), seguiti dagli erbicidi (circa il 33%) e dagli insetticidi e acaricidi (13%). Rispetto al 2018, si osserva una più equa distribuzione delle vendite tra le varie tipologie di fitosanitari: a una diminuzione di anticrittogamici ne consegue un sostanziale incremento di erbicidi e insetticidi.
In Italia, invece, il quadro è differente: dei 48.405.281 kg di sostanze attive vendute nel 2019, la metà è rappresentata da fungicidi e battericidi (50,2%), mentre gli erbicidi sono il 17,6% e gli insetticidi e acaricidi il 3,5%, per un totale di 111.014.889 kg di prodotti fitosanitari venduti. Al decremento di vendite di sostanze attive, si associa un aumento di superfici agricole adibite al biologico nell’intera Unione europea, passando da 13 milioni di ettari nel 2018 a quasi 13,8 milioni di ettari nel 2019. In Italia, si osserva invece un incremento di SAU di circa il 35% rispetto al 2018, con un totale di 1.993.236 ettari, raggiungendo quota 2.095.380 ettari nel 2020.
Buone Notizie
Il dossier Legambiente ricorda anche alcune buone notizie legate all’avanzamento di ricerca, alla sperimentazione e all’utilizzo di tecnologie innovative per innalzare l’asticella dell’integrato, riducendo gli input negativi, dall’altra, i dati sul biologico, considerato dai consumatori anche nel 2020 uno strumento di salvaguardia della salute collettiva. Il biologico italiano, peraltro, sta acquisendo sempre maggiore credibilità sui mercati nazionali ed internazionali. L’incremento dal 2012 al 2021 della percentuale di famiglie che scelgono il bio è fortemente positivo. Sono 23 milioni i nuclei familiari che hanno acquistato bio almeno una volta nell’ultimo anno. Ad avvicinarsi ai prodotti biologici non sono solo le persone che adottano uno stile di vita salutista (76% della categoria) ma anche famiglie con figli di età inferiore ai 12 anni (62% della categoria) e persone con alti livelli di istruzione come laurea, dottorato o master (59% della categoria). Un dato di estrema rilevanza rispetto a come sta cambiando la percezione del biologico viene proprio dai giovani, i cosiddetti millennials, che ricercano, in un rapporto maggiore del 50%, prodotti provenienti da questa filiera.
Le richieste di Legambiente
Durante la presentazione del rapporto l’associazione ambientalista ha rilanciato anche le sue proposte a partire da tre capisaldi: l’approvazione quanto prima della legge sul biologico, approvata dal Senato con un solo voto contrario e ancora ferma alla Camera, l’adozione del Pan, il Piano di azione nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari e l’approvazione di un Psn, Piano strategico nazionale per la pianificazione della Pac, che punti con determinazione alla forte riduzione della chimica di sintesi in agricoltura – e sottolineando come la transizione ecologica e la lotta alla crisi climatica passino anche attraverso un sistema agroalimentare sostenibile e di qualità che punti sull’agroecologia, capace di guardare con determinazione e coraggio alla salubrità dei prodotti agricoli.