Dieci eventi climatici estremi per un costo alla collettività di oltre quaranta miliardi di dollari. Fare i conti con il cambiamento climatico è (anche) un modo per prendere coscienza dell’impatto finanziario del riscaldamento globale e dell’incremento dell’intensità e della frequenza dei cosiddetti climatici estremi. Ed è quel che ha fatto la ong Christian Aid con il suo rapporto “Counting the cost 2024: a year of climate breakdown”: un dossier che dà traccia del peso specifico dei disastri climatici attraverso l’impatto generato sulle comunità. Un impatto che non sempre è direttamente proporzionale all’attenzione mediatica: basti pensare che l’evento più raccontato, l’alluvione di Valencia, è appena decimo nella speciale classifica delle calamità che hanno causato più danni economici a livello globale.

Valencia, tantissimi cittadini sono arrivati ad aiutare chi è stato colpito alluvione
Valencia, tantissimi cittadini sono arrivati ad aiutare chi è stato colpito alluvione 

I Paesi poveri soffrono di più

Una classifica stilata in base alle perdite assicurata, il che rende le conseguenze economiche: i costi finanziari reali sono probabilmente ancora più elevati, mentre i costi umani spesso non vengono contabilizzati. Anche per questo compaiono, fuori classifica, dieci eventi meteorologici estremi che non hanno accumulato perdite assicurative sufficientemente grandi da rientrare nella top ten, ma che sono stati altrettanto devastanti e spesso hanno colpito milioni di persone: i riflettori sono, evidentemente, sui paesi più poveri, dove molte persone non dispongono di assicurazioni e i dati sono meno disponibili. Quel che è certo, sottolinea Christian Aid, è che “gli eventi estremi evidenziano la necessità di un’azione più urgente per ridurre le emissioni di carbonio e accelerare la transizione verso l’energia rinnovabile e sottolineano l’importanza di fornire finanziamenti per le persone vulnerabili”.

L’evento più devastante: l’uragano Milton

Devastazioni ci sono stati a tutte le latitudini, ma quanto accaduto lo scorso ottobre in Florida ha causato 60 miliardi di dollari di danni e 25 morti. Al secondo posto un altro uragano Helene, che ha colpito Stati Uniti, Cuba e Messico a settembre: 55 miliardi di dollari. Elevato il prezzo pagato in vite umane: 232 sono stati i morti. Il rapporto evidenzia come l’instabilità climatica, anche al netto degli uragani, si traduca per gli Stati Uniti in danni economici consistenti, per oltre 60 miliardi di dollari.

La devastazione causata dall'uragano Milton in Florida
La devastazione causata dall’uragano Milton in Florida 

Ma il cambiamento climatico non risparmia nessuna area del pianeta: così le inondazioni in Cina hanno causato danni per 15,6 miliardi di dollari e la tragedia di 315 morti, mentre il tifone Yagi – che ha colpito il sud-est asiatico – ha ucciso più di 800 persone, con danni per 12,6 miliardi. A partire dal suo arrivo nelle Filippine, il 2 settembre, il tifone ha causato frane, inondazioni lampo e danneggiato centinaia di migliaia di case e terreni agricoli, investendo Laos, Myanmar, Vietnam e Thailandia. E ancora.Il Brasile, paese ospite del vertice sul clima Cop30 nel 2025, è stato interessato dalle inondazioni nello stato di Rio Grande do Sul: 183 vittime e 5 miliardi di dollari di danni.

In Europa

Nella drammatica top ten il Vecchio Continente è presente con tre disastri: la tempesta Boris in Europa centrale e le inondazioni in Spagna e Germania, per un danno complessivo di 13,87 miliardi di dollari e 258 morti, di cui la stragrande maggioranza, 226, nel corso delle inondazioni di Valencia. E ancora: il Brasile, paese ospite del vertice sul clima COP30 nel 2025, è stato interessato dalle inondazioni nello stato di Rio Grande do Sul: 183 vittime e 5 miliardi di dollari di danni. E se il Regno Unito non è finito nella top ten, il rapporto invita a mettere da parte l’ottimismo: secondo l’Agenzia per l’Ambiente addirittura un quarto delle proprietà in Inghilterra, otto milioni, potrebbe essere a rischio di inondazioni entro il 2050 proprio a causa del cambiamento climatico.

L'alluvione che ha colpito nell'ottobre 2024 l'Europa centrale
L’alluvione che ha colpito nell’ottobre 2024 l’Europa centrale 

Dal Sud est asiatico all’Africa

I Paesi considerati economicamente poveri sono, evidentemente, più vulnerabili, malgrado la difficoltà nella quantificazione dei danni economici e dei costi finanziari dei disastri. Disastri come quello legato all’azione del ciclone Chido, che a proprio dicembre ha devastato le isole di Mayotte (si parla di oltre mille morti), o alla siccità che ha colpito la Colombia, dove le acque del fiume Amazonas si sono ridotte 90%, con conseguenze nefaste per le popolazioni indigene, che vi dipendono per il cibo e i trasporti. Ci sono poi le ondate di calore, sempre più consistenti. In Bangladesh, per esempio, ne hanno sofferto 33 milioni di persone. E non v’è dubbio che la grave crisi umanitaria che ha colpito Gaza, legata al conflitto israelo-palestinese, sia stata acuita dalle temperature che, d’estate, hanno raggiunto picchi altissimi.

La tragedia di Gaza oltre l'elevato prezzo di vite umane è un disastro ambientale
La tragedia di Gaza oltre l’elevato prezzo di vite umane è un disastro ambientale 

L’Africa è, in assoluto, il continente per il quale le conseguenze del cambiamento climatico vengono più sottovalutate. L’area occidentale è stata colpita, nel 2024, da una serie di inondazioni che hanno interessato più di 6,6 milioni di persone in Nigeria, Ciad e Niger. Al Sud, invece, si è registrata la peggiore ondata di siccità mai registrata, con conseguenze importanti per più di 14 milioni di persone in Zambia, Malawi, Namibia e Zimbabwe.

Gli effetti della siccità
Gli effetti della siccità 

“Subiamo un terribile tributo in termini di vite umane, pur contribuendo per meno del 4% alle emissioni globali. – denuncia Mohamed Adow, che ha fondato nel 2018 e tuttora dirige il Power Shift Africa, nato per sensibilizzare l’opinione pubblica sui danni del cambiamento climatico in Africa.

“Un costo insopportabile per la collettività”

Il rapporto ci mostra che il cambiamento climatico sta già avendo un costo insopportabile sulle nostre vite”, spiega Davide Faranda, che insegna Fisica del Clima presso l’Istituto Pierre Simon Laplace, in Francia. “La buona notizia è che possiamo fermare e invertire questa tendenza, e una soluzione già esiste: è fondamentale smettere di bruciare combustibili fossili per fermare l’alimentazione di eventi meteorologici estremi. Se non lo facciamo, continueremo a vedere anni sempre più pieni di sofferenza e distruzione, riducendo fatalmente il tempo a disposizione per elaborare strategie di adattamento efficaci”.

La lotta al negazionismo

Il rapporto fotografa, dunque, uno scenario inequivocabile. Di fronte al quale, però, resistono strenuamente i negazionismi. “Eppure le prove scientifiche del devastante impatto che la combustione di combustibili fossili sta avendo sulle persone e sul pianeta sono inconfutabili. – sottolinea Patrick Watt, ceo di Christian Aid – Il 2024 sarà probabilmente l’anno più caldo mai registrato, superando il record dell’anno scorso. Abbiamo continui segnali di avvertimento di ciò che accadrà se non acceleriamo la transizione dai combustibili fossili: chiara è la necessità urgente di misure di adattamento, specialmente nel Sud del mondo, dove le risorse sono particolarmente limitate e le persone sono più vulnerabili agli eventi meteorologici estremi. La sofferenza umana causata dalla crisi climatica – prosegue – riflette scelte politiche: non c’è nulla di naturale nell’aumento della gravità e della frequenza di siccità, inondazioni e tempeste. – prosegue – I disastri sono potenziati dalle decisioni di continuare a bruciare combustibili fossili e consentire l’aumento delle emissioni. E sono aggravati dal costante fallimento nel mantenere gli impegni finanziari verso i paesi più poveri e vulnerabili al clima. Nel 2025 ci auspichiamo che i governi favoriscano una netta inversione di rotta”.