BAKU. Se gli scienziati ci dicono che la causa principale delle emissioni antropiche che alterano l’atmosfera e provocano la crisi del clima sono i combustibili fossili, può funzionare una Conferenza mondiale dove l’ingerenza dei combustibili fossili è innegabile? È la domanda che in molti, attraverso più report, appelli e dichiarazioni, si chiedono oggi al quarto giorno di Cop29 a Baku.

Perché, se nelle stanze dei negoziati si continua a lavorare sul tema centrale della finanza – per trovare 1,3 trilioni di dollari l’anno tra pubblico e privato e aiutare i Paesi più poveri ad adattarsi e resistere, – a livello politico un insieme di fattori oggi sembra voler rispondere direttamente a quella frase su gas e petrolio che sono “un dono di Dio”, pronunciata a inizio Conferenza dal presidente azero Ilham Aliyev. Il punto, scrivono in una lettera un gruppo di influenti esperti di politica climatica e di scienza – tra cui ad esempio Johan Rockström , direttore del Potsdam Institute for Climate Action Research, oppure Ban Ki-moon, ex Segretario generale delle Nazioni Unite o Christiana Figueres, ex segretario esecutivo della Convenzione quadro Onu sul clima – è che forse siamo andati troppo oltre, le Cop andrebbero “riformate”.

Cop29 al via: cosa ci dovremmo aspettare dalla conferenza delle parti sul clima


Perché rischia di mancare l'”azione”, per esempio per la decarbonizzazione, se una Cop si tiene in Paesi che “non supportano la transizione verso l’abbandono dei combustibili fossili”, come la Dubai del petrolio – dove si è svolta la scorsa Conferenza – o la Baku del gas e della Socar, la grande compagnia petrolifera statale. Ci si interroga dunque se vertici di questo tipo, dove tra l’altro è enorme la presenza di lobbisti di quelle fonti fossili che al contrario dovrebbero passare per un “transition away”, l’uscita graduale concordata lo scorso anno a Dubai, siano “ancora adatte” alla grande sfida che abbiamo davanti.

A dar manforte a questa visione c’è poi il dato, ancora una volta spaventoso, sulla presenza di lobbisti delle fonti fossili alla Cop di Baku: sono 1773 dice il collettivo Kick Big Polluters Out, in pratica per numeri la “quarta delegazione” e sono più dei rappresentati dei dieci Paesi più vulnerabili al mondo per impatti del cambiamento climatico.


Non solo: ci sono anche 132 dirigenti oil&gas, ospiti del governo azero. Per cui ci si chiede, come è possibile mantenere l’idea di decarbonizzare, l’elemento chiave per restare sotto il limite di +1,5 gradi che ormai sta per essere superato, se a governare parte delle Cop siano politici, come il presidente azero o il capo della Cop29 l’ex petroliere Mukhtar Babayev? Sembra impossibile, perché come ha affermato ieri l’ex vicepresidente Usa Al Gore, c’è da preoccuparsi se “l’industria dei combustibili fossili e i petrol-Stati prendono il controllo del processo della Cop” e se non si parla “del transition away, questione che è stata appena menzionata”.

Insomma, come sostiene Graham Gordon, head of Global Advocacy di Christian Aid, “avere dei lobbisti dei combustibili fossili a un summit sul clima è come invitare uno spacciatore in un centro di riabilitazione” e uscire dalla dipendenza è un compito proibitivo. In questa partita che – almeno a livello politico – sembra avviarsi verso una sconfitta sulla questione fossile, anche l’Italia gioca un ruolo importante. Quando Giorgia Meloni, capo del G7, ha deciso di parlare in plenaria ed essere una dei pochi capi di stato del G7 ad essere presente a Baku, ci si attendeva un discorso che rafforzasse sia la finanza climatica sia l’idea di triplicare le rinnovabili e dire un lento addio al fossile.

Giorgia Meloni alla Cop29: “Non c’è una singola alternativa ai combustibili fossili, sì anche alla fusione nucleare”


Almeno questa era la speranza per esempio dei Paesi meno sviluppati. Invece, citando sempre la “neutralità tecnologica”, ha parlato dell’assenza di “un’unica soluzione ai combustibili fossili” e ha preferito dire al mondo che bisogna puntare sul “gas” – che è un combustibile fossile – oppure sulla “fusione nucleare”, una tecnologia che ancora non esiste. In Italia però sappiamo bene che questa è la strategia di governo: con il Piano Mattei l’attuale esecutivo vuole trasformare lo Stivale in “un hub del gas del Mediterraneo” ha detto Meloni, che proprio dall’Azerbaijan importa gas. E infatti, avverte l’ennesimo rapporto uscito proprio oggi dalla Cop, l’Italia insieme a Gran Bretagna e Germania è fra le economie che intendono aumentare di più la produzione di questo combustibile fossile, nonostante – ripetiamolo – la scienza sia chiara sulla necessità di invertire questa tendenza.

Il report di Beyond Fossil Fuels e Greenpeace sostiene che l’Europa, guidata dall’Italia, intende pianificare 80 gigawatt di capacità di energia alimentata a gas fossile. Metà di questa energia è questione appunto di soli tre Paesi, Italia in testa. Un dato “pericolosamente in contrasto” con gli obiettivi climatici scrivono le associazioni. La grande ingerenza fossile, unita allo scetticismo legato alle rielezioni di Trump e a una Argentina di quel Javier Milei che minaccia di seguire The Donald provando a “uscire dall’accordo di Parigi” sono macigni che stanno rendendo la Cop29 estremamente complessa. Ci si potrebbe dunque concentrare sui negoziati per la finanza climatica, che sono veramente quel che conta, ovvero trovare i soldi – ma anche qui, ricorda Yalchin Rafiyev, ci si sta tremendamente arenando: “Sono lenti – ha detto davanti ai giornalisti – dobbiamo accelerare”.