SHARM EL-SHEIKH. Quali Paesi stanno rispettando i loro impegni climatici? Nessuno, tantomeno l’Italia, che si ferma a un mediocre 29esimo posto nella speciale classifica sulle performance climatiche dei governi. Il podio anche quest’anno è rimasto desolatamente deserto: nessuno tra gli Stati presi in considerazione ha infatti raggiunto gli obiettivi necessari a fronteggiare il riscaldamento globale e a contenere l’aumento della temperatura media entro la soglia critica di 1,5°C a fine secolo. Brillano però Danimarca e Svezia, rispettivamente al quarto e al quinto posto, e sorprendono non poco Cile, Marocco e India, che occupano dalla sesta all’ottava posizione.
Lo scenario è quello disegnato questa mattina, nella sala Luxor di Cop27 a Sharm El Sheikh, dalla presentazione del Climate Change Performance Index 2023, rapporto redatto da Germanwatch, l’organizzazione non governativa con sede a Bonn che dal 1991 monitora le politiche pubbliche sull’ambiente, in collaborazione con Climate Action Network, NewClimate Institute e con Legambiente per l’Italia. L’analisi prende in considerazione 59 nazioni, più l’Unione europea nel suo complesso, rappresentanti il 90% delle emissioni climalteranti del Pianeta. Le performance hanno come parametro di riferimento gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e gli impegni assunti al 2030 e vengono misurate attraverso il un indice basato per il 40% sul trend delle emissioni, per il 20% sullo sviluppo di rinnovabili ed efficienza energetica e per il restante 20% sulla politica climatica.
Questo spiega lo stallo dell’Italia, che rispetto all’edizione dello scorso anno del rapporto scala una solo posizione (dalla 30esima alla 29esima, appunto) e non si schioda dal centro-classifica. A pesare, si legge nel rapporto, “sono principalmente il rallentamento nello sviluppo delle rinnovabili e una politica climatica ancora inadeguata a fronteggiare l’emergenza”.
“Serve una drastica inversione di rotta”, conferma Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente. “Si deve aggiornare al più presto il Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec), per garantire una riduzione delle nostre emissioni climalteranti, in linea con l’obiettivo di 1.5°C, di almeno il 65% entro il 2030”. In effetti, il Pniec nella sua versione attuale consente un taglio delle emissioni di appena il 37% rispetto al 1990 entro il 2030. “Ma va anche confermato il phase-out del carbone entro il 2025″, continua Ciafani, “senza ricorrere a nuove centrali a gas. L’Italia può centrare l’obiettivo climatico del 65%, soprattutto grazie al contributo delle rinnovabili, ma deve velocizzare sia gli interminabili iter di autorizzazione dei grandi impianti industriali alimentati dalle fonti pulite sia quelli delle comunità energetiche, causati soprattutto dai conflitti tra ministero dell’Ambiente e della Cultura e dalle inadempienze delle Regioni”.
Tra i Paesi del G20, che si ritroveranno a Bali da domani per parlare anche di clima, solo India (ottavo posto), Regno Unito (undicesimo) e Germania (sedicesimo) si posizionano nella parte alta della classifica, mentre l’Unione Europea sale di tre gradini rispetto allo scorso anno, raggiungendo il 19° posto grazie a nove Paesi posizionati nella parte alta della classifica, frenata però dalle pessime performance di Ungheria e Polonia che continuano a essere fanalino di coda.
La Cina, maggiore responsabile delle emissioni globali, scivola al 51esimo posto perdendo ben 13 posizioni rispetto allo scorso anno: nonostante il grande sviluppo delle rinnovabili, le emissioni cinesi continuano a crescere per il forte ricorso al carbone e la scarsa efficienza energetica del sistema produttivo. Un gradino più in basso, al 52° posto, si piazzano gli Stati Uniti, secondo emettitore globale che però guadagna tre posizioni rispetto allo scorso anno: un risultato attribuibile alla nuova politica climatica ed energetica dell’Amministrazione Biden.
Agli ultimi tre posti della classifica, tre Paesi esportatori e utilizzatori di combustibili fossili: Iran, Arabia Saudita e Kazakistan.