Avanzano, favorite dai cambiamenti climatici. Sfruttando la tropicalizzazione dei nostri mari. E, il più delle volte, concorrendo ad armi impari con le specie autoctone. Ma ora l’ultima frontiera delle specie aliene che hanno colonizzato il Mar Mediterraneo, approdandovi nel corso dei decenni attraverso il Canale di Suez, è oltrepassare le colonne d’Ercole. Arrivando così all’Oceano Atlantico. È quanto ipotizza una ricerca coordinata dal Cnr-Irbim, i cui esiti – pubblicati su Frontiers in Ecology and the Environment – aprono nuovi ed inquietanti scenari, supportati da un set di modelli di distribuzione sviluppati per dieci specie ittiche. “Proprio così – annuisce Ernesto Azzurro, dell’Istituto per le Risorse Biologiche e le Biotecnologie Marine del Consiglio Nazionale delle Ricerche del (CNR-IRBIM), tra gli autori dello studio – Questi modelli illustrano come i cambiamenti climatici stiano progressivamente indebolendo quelle barriere climatiche che avevano finora limitato l’espansione geografica di molte specie aliene del Mediterraneo. E ci siamo chiesti: potranno queste specie espandersi oltre lo stretto di Gibilterra?”.
Pochi dubbi, a quanto pare: in un futuro non troppo remoto, benché ancora indefinito, gli “alieni” estenderanno il loro areale di diffusione. Aprendo un ponte ideale tra l’Oceano Indo-Pacifico, dal quale provengono, e l’Atlantico, separati da milioni di anni. In una sorta di inquietante ritorno alla Tetide, il grande oceano marino che circondava le terre emerse milioni di anni fa. “Siamo di fronte a uno scenario di omogenizzazione biotica dalle conseguenze difficilmente prevedibili”, conferma Manuela D’Amen dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale Roma (Ispra).
E le prime specie a compiere il salto potrebbero essere quelle che hanno già raggiunto i settori più occidentali del Mediterraneo, come il pesce palla maculato (Lagocephalus sceleratus), il pesce flauto (Fistularia commersonii) e la sardina di Golani (Etrumeus golanii). Potrebbero essere loro i pionieri di una nuova e straordinaria espansione geografica che impone ai ricercatori una serie di riflessioni sulle conseguenze dei grandi cambiamenti climatici sulla biodiversità. E a seguirli potrebbero essere altre tra le oltre cento specie ittiche entrate in Mediterraneo attraverso il canale di Suez, 76 delle quali hanno già stabilito popolazioni permanenti, con effetti spesso nocivi per le popolazioni native, costrette a soccombere a nuovi “competitor”.
“L’apertura del Canale di Suez nel 1896 – spiega Azzurro – ha ristabilito un contatto tra il Mar Rosso e il Mediterraneo, dando il via libera a centinaia di specie esotiche, in particolare pesci tropicali, che sono riusciti a invadere il Mare Nostrum. E la cosiddetta migrazione lessepsiana, in ossequio all’ingegnere francese Ferdinand de Lesseps, ha cambiato per sempre la storia del Mediterraneo, con rilevanti impatti ecologici e socioeconomici”.
Ora, però, la questione è ancor più rilevante: le specie esotiche, già parte integrante degli ecosistemi mediterranei, non intendono fermarsi. E – benché la loro affermazione dipenda da una serie di variabili, non ultima l’interazione con le specie autoctone – lo scenario più probabile sembra lasciar presagire un futuro caratterizzato da una rapida trasformazione degli ecosistemi marini e dei servizi che essi offrono alle nostre società. Perché le specie più adatte all’attuale contesto climatico tenderanno ad affermarsi a scapito di molte specie native. La nostra specie, responsabile unica dell’attuale climate change attraverso l’emissione di gas serra in atmosfera, è per loro un prezioso ancorché inconsapevole alleato. “Un motivo in più – concludono i ricercatori – per accelerare l’attuazione di politiche climatiche, come concordato alla scorsa Cop26 e come sostenuto dalla comunità scientifica internazionale”.